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1. Le diverse tecniche di utilizzo della categoria degli strumenti finanziari partecipativi: da “nuovo” canale di reperimento di risorse finanziarie a strumento “flessibile” nelle operazioni di salvataggio delle imprese in crisi o nelle acquisizioni di partecipazioni di minoranza. - 2. Diritti amministrativi attribuibili ai portatori di strumenti finanziari partecipativi: profili problematici. - 3. Il problema dell’inquadramento sistematico della fattispecie “strumento finanziario partecipativo”. - 4. Il diritto di voto su “argomenti specificatamente indicati”. - 5. La riserva di nomina delle cariche sociali come principale potenziale diritto di ingerenza nell’attività sociale. - 6. I diritti amministrativi c.d. minori: diritti di informazione, di controllo e altri diritti di carattere “difensivo”. - 7. Altri diritti a contenuto amministrativo-patrimoniale: il diritto di recesso e il diritto d’opzione su future emissioni di strumenti finanziari partecipativi. - NOTE
La tematica del finanziamento dell’impresa, attraverso l’ampliamento e la diversificazione dei canali di reperimento delle risorse finanziarie, ha costituito un momento centrale nella riforma del diritto societario del 2003, specialmente per le imprese strutturate nella forma organizzativa della società per azioni. In un contesto di crescente ricorso alle operazioni di finanza straordinaria (tra cui quelle di private equity e di venture capital) il legislatore della riforma [1] prese atto del fatto che il processo di crescita delle imprese (di piccole-medie come di grandi dimensioni) dovesse necessariamente passare per il rafforzamento della struttura patrimoniale e finanziaria, attraverso canali alternativi ed ulteriori rispetto a quello bancario [2]. Il legislatore ritenne, pertanto, opportuno mettere a disposizione dell’autonomia privata una ricca gamma di canali di finanziamento, assai più variegati e decisamente più duttili rispetto a quelli a cui si poteva attingere prima dell’intervento riformatore [3], in un’ottica di diversificazione dei mezzi di raccolta di capitale di credito e di rischio. Ne derivò, anche attraverso l’introduzione della categoria degli «strumenti finanziari partecipativi» di cui agli artt. 2346, ult. comma e 2351, ult. comma, c.c., un ampliamento e una ridefinizione della gamma degli strumenti finanziari di equity e di debt a disposizione degli operatori, nonché la possibilità di modulare in vario modo il ventaglio dei diritti patrimoniali e amministrativi contenuti negli stessi, osservando i pochi limiti dettati dal legislatore a presidio dei principi inderogabili oltre i quali all’autonomia privata non era dato spingersi [4]. Per tale via, la struttura finanziaria del modello società per azioni subiva una radicale trasformazione passando, sostanzialmente, da una architettura bipolare fondata, appunto, sul “dualismo” azione/obbligazione ad una configurazione assai più complessa in cui, tra gli estremi pur incarnati dalla partecipazione azionaria e della posizione obbligazionaria, venivano a collocarsi fattispecie assolutamente originali, le quali si caratterizzavano per una partecipazione all’impresa orientabile verso l’investimento a titolo di capitale di credito o verso quello a titolo di capitale di rischio [5]. I [continua ..]
L’intervento riformatore del 2003 si è caratterizzato, in particolare, per il fatto di aver rotto il monopolio sull’attività sociale e sulla gestione dell’impresa collettiva fino ad oggi affidato esclusivamente agli investitori partecipanti al capitale: ovverosia, agli azionisti. La posizione del legislatore della riforma è risultata, al contempo, decisamente attenta ad impedire radicali riallocazioni del potere di controllo dell’ente dagli azionisti agli investitori in strumenti finanziari partecipativi [11]. Ne costituisce prova evidente sia la preclusione di una diretta assunzione, per la categoria dei portatori di strumenti finanziari partecipativi, del governo dell’impresa sia il divieto di conferimento del potere di voto ai portatori di strumenti finanziari partecipativi nell’assemblea generale degli azionisti (ai sensi dell’art. 2346, 6° comma, c.c.) a cui si accompagna l’obbligo, per gli stessi, di esprimere il voto limitatamente agli argomenti specificamente indicati dallo statuto (ai sensi dell’art. 2351, 5° comma, c.c.). Ad eccezione delle scarne indicazioni sopra enunciate, il dato normativo risulta, nel suo complesso, alquanto “oscuro” con ovvie difficoltà nel ricostruire una disciplina organica degli strumenti finanziari partecipativi [12]. In particolare, non sembra agevole identificare le coordinate del sistema né mettere a fuoco i molteplici limiti e vincoli nell’emissione di tali strumenti. Il divieto di conferimento del voto nell’assemblea generale, unica restrizione esplicitata, sembra rappresentare il punto di partenza da cui muovere per far luce sulla complessiva regolazione dell’istituto. Numerosi sono poi gli interrogativi, sui quali ci si soffermerà in questa sede, che si presentano all’interprete e all’operatore pratico, riguardo gli eventuali limiti nel trasferimento di poteri di governance dagli azionisti agli investitori in strumenti finanziari partecipativi. In particolare, si rende necessario identificare quali diritti amministrativi, oltre quelli espressamente previsti dall’art. 2351, ult. comma, c.c., possano essere “incorporati” negli strumenti in esame; con quali modalità possa essere statutariamente costruito il diritto di voto dei titolari di strumenti finanziari partecipativi [13]; quanto ampia possa essere, da un punto di [continua ..]
L’indagine circa l’identificazione dei singoli diritti amministrativi idonei ad essere “incorporati” in strumenti finanziari partecipativi deve essere necessariamente preceduta da un seppur sintetico esame dei presupposti la cui ricorrenza consente di identificare la fattispecie dello «strumento finanziario partecipativo» ai sensi degli artt. 2346, 6° comma e 2351. 5° comma, c.c. I connotati richiesti per poter qualificare uno strumento finanziario come partecipativo, sembrano ricavabili proprio dalla rubrica della Sezione V del codice civile («azioni e altri strumenti finanziari partecipativi»). Dal nomen di tale rubrica sembra, infatti, doversi desumere l’esistenza di due grandi classi di strumenti finanziari che possono essere emessi dalle società per azioni: quelli partecipativi e quelli non partecipativi [14]. All’interno della prima classe si possono distinguere, da un lato, le azioni, che incorporano la partecipazione all’operazione societaria riflettendone le caratteristiche essenziali e, dall’altro, gli altri strumenti finanziari partecipativi i quali, pur non essendo equiparabili alle azioni, “partecipano” in qualche modo all’operazione societaria e alla relativa organizzazione. All’interno degli strumenti finanziari non partecipativi, invece, il codice annovererebbe le obbligazioni, alle quali si aggiungerebbero gli altri strumenti finanziari non partecipativi espressamente previsti dal legislatore, tra i quali gli «strumenti finanziari, comunque denominati che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società» di cui all’art. 2411, 3° comma, c.c. e gli «strumenti finanziari di partecipazione all’affare», di cui all’art. 2447-ter. Alla luce della ricostruzione sopra proposta, sembra potersi affermare, come sostenuto da certa dottrina [15], che gli strumenti finanziari di cui al 2346, 6° comma, c.c. sono “partecipativi” nel senso di “partecipare” al contratto sociale, in quanto incorporerebbero diritti che da esso derivano e che caratterizzano, altresì, la partecipazione degli azionisti. Per poter ricondurre uno strumento finanziario alla categoria di cui all’art. 2346, 6° comma, c.c., occorrerà che almeno uno tra i diritti [continua ..]
Nel comporre il contenuto amministrativo degli strumenti finanziari partecipativi, l’autonomia statutaria è sottoposta a vincoli piuttosto rigorosi derivanti dalla legge, che impediscono la riproduzione totale del contenuto delle azioni. I diritti amministrativi accordabili, dall’autonomia statutaria, agli strumenti finanziari partecipativi non potranno, cioè, ricalcare quelli dell’azionista ordinario, in quanto la legge esclude che gli strumenti in parola siano dotati del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti, come si ricava dal divieto di cui all’art. 2346, ult. comma, c.c. Tale divieto dovrà essere, in ogni caso, coordinato con altre previsioni che sembrano muoversi in direzione opposta. Tra queste, oltre all’art. 2506-ter, 1° comma e all’art. 2526, 2° comma, c.c. si segnala, in particolare, l’art. 2351, ult. comma, c.c., il quale consente che gli strumenti finanziari partecipativi siano dotati del «diritto di voto su argomenti specificamente indicati» [27]. Tali disposizioni sembrano sancire, in maniera inequivocabile, il superamento del dogma secondo cui il diritto di voto spetta unicamente ai soci: il diritto di voto, ovvero il principale tra i diritti amministrativi spettante agli azionisti, si configura come uno dei diritti che possono comporre il contenuto degli strumenti finanziari partecipativi, mentre rimane precluso ai portatori dei titoli obbligazionari, nonché ai titolari degli altri strumenti finanziari non partecipativi collocabili sul fronte del capitale di debito [28]. Resta, tuttavia, innegabile un problema di coordinamento tra le disposizioni appena citate e la norma di cui all’art. 2346, ult. comma, c.c. In realtà, l’unica vera incongruenza che si segnala all’interprete sussisterebbe tra la disposizione di cui all’art. 2346, ult. comma, c.c. che nega l’attribuzione del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti e quella di cui all’art. 2351, 5° comma, c.c. che invece lo concede su argomenti specificatamente indicati [29]. Sembra, dunque, indispensabile interpretare quale sia l’effettiva portata dell’esclusione del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti disposta dall’art. 2346, ult. comma, c.c. A tal proposito, il legislatore, all’art. 2376 c.c., attribuisce agli strumenti finanziari [continua ..]
Quale unica ipotesi esemplificativa «del diritto di voto su argomenti specificatamente indicati», in capo ai portatori di strumenti finanziari partecipativi, il legislatore della riforma ha previsto la possibilità che a tali strumenti sia «riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco» (art. 2351, ult. comma, c.c.) [45], precisando che «alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano» (art. 2351, ult. comma, c.c.). Le principali problematiche emerse nel contesto della prassi applicativa, con riguardo all’ipotesi di riserva di nomina delle cariche sociali in capo ai portatori di strumenti finanziari partecipativi, hanno essenzialmente riguardato: (i) il procedimento di nomina del consigliere o sindaco, (ii) l’identificazione di un limite numerico di amministratori, sindaci o consiglieri, in caso vengano emessi più categorie di strumenti finanziari partecipativi, (iii) il significato da attribuirsi all’aggettivo «indipendente», (iv) la disciplina applicabile per l’ipotesi di revoca dell’amministratore, sindaco o consigliere nominato dai portatori di strumenti finanziari partecipativi. Quanto al primo dei profili sopra elencati, l’aspetto di maggior interesse riguarda il rapporto tra la nomina dell’amministratore, o del sindaco o del consigliere di sorveglianza, da parte dei portatori di strumenti finanziari partecipativi, e la delibera dell’assemblea generale chiamata a nominare i restanti componenti dei rispettivi organi sociali. In via preliminare, si segnala che la nomina in questione, la quale potrà avvenire mediante votazione dell’assemblea di categoria oppure, in caso di strumenti non emessi in serie, mediante la semplice manifestazione del consenso da parte dei titolari degli strumenti, sembra possa configurarsi tanto come nomina diretta quanto come mera designazione di un soggetto, il quale andrebbe poi formalmente investito dei suoi poteri dall’assemblea generale [46]. Spetterebbe poi allo statuto dell’emittente precisare quale tra i due regimi, di nomina diretta ovvero di designazione, sia applicabile. Per quanto più specificatamente attiene al tema dei rapporti tra [continua ..]
Come sopra accennato, le ipotesi tipicamente previste dall’art. 2351, 5° comma, c.c. non sembrano esaurire il novero dei diritti amministrativi accordabili ai possessori di strumenti finanziari partecipativi. Data la formulazione alquanto generica dell’art. 2346, ult. comma, c.c., si può senz’altro affermare che l’autonomia statutaria risulti legittimata a concedere, in aggiunta all’esercizio del voto, prerogative e diritti amministrativi, anche al di fuori dello spettro di quelli spettanti agli azionisti (c.d. diritti amministrativi “atipici”) [58]. In particolare, dalla formulazione della norma citata, sembra potersi dedurre, in linea generale, che l’autonomia statutaria potrà modulare il contenuto amministrativo dello strumento finanziario, sia in funzione di una finalità di controllo, attribuendo, quindi, diritti amministrativi finalizzati al controllo e alla tutela dell’investimento, sia in direzione di una finalità di governo dell’ente, attraverso alcune peculiari forme di interazione nella governance della società, dalle cui fortune dipende la remunerazione dell’investimento effettuato [59]. Più in particolare, all’autonomia statutaria il legislatore sembra lasciare la più ampia facoltà di “riempire” di contenuto degli strumenti finanziari partecipativi facendo ricorso all’intero armamentario dei diritti spettanti agli azionisti, potendosi quasi giungere, nei limiti di seguito indicati, ad una parificazione della posizione dei portatori di strumenti finanziari a quella degli azionisti, sia in senso qualitativo (gli stessi diritti), sia in senso quantitativo (lo stesso insieme di diritti) [60]. Nell’ambito dei diritti amministrativi attribuibili statutariamente ai portatori di strumenti finanziari partecipativi, si segnala come il dibattito dottrinale si sia particolarmente concentrato sull’ammissibilità, in capo a tali soggetti, di un “diritto di intervento” nelle assemblee in cui siano all’ordine del giorno argomenti sui quali essi non abbiano diritto di voto; intendendosi per diritto di intervento non solo il diritto di prendere parte all’assemblea, ma anche quello di essere informati sugli argomenti all’ordine del giorno e di discuterli. La questione assume particolare rilevo a fronte della norma dell’art. 2370 c.c., [continua ..]
Come sopra affermato, la formulazione alquanto generica dell’art. 2346, ult. comma, c.c., porterebbe a ritenere che l’autonomia statutaria risulti legittimata a concedere, ai portatori di strumenti finanziari partecipativi, diritti amministrativi spettanti agli azionisti ed in concorso con gli stessi. I dubbi che a questo punto sorgono riguardano, però, la possibilità o meno di pervenire ad una parificazione pressoché totale tra gli strumenti finanziari partecipativi e le azioni, per ciò che concerne i diritti amministrativi diversi dal diritto di voto, giungendo fino al punto di una totale sovrapposizione tra le due fattispecie, soprattutto nel caso in cui si volesse includere, tra tali diritti amministrativi, anche il diritto di recesso e il diritto di opzione. Per quanto concerne il diritto di recesso, inteso quale diritto a sciogliere il rapporto partecipativo che lega i possessori di strumenti finanziari partecipativi alla società, eventualmente liquidando la posizione giuridica del sottoscrittore mediante un versamento in denaro, sembra evidente che, sebbene tale diritto di scioglimento anticipato del rapporto partecipativo possa essere senz’altro attribuito ai portatori di strumenti finanziari, esso non si configurerà come diritto di recesso spettante agli azionisti ex art. 2437 c.c. inteso come il diritto di liquidare la partecipazione azionaria e non altri strumenti finanziari, sia pur partecipativi, emessi dalla società [69]. Tale differenza sostanziale induce ad affermare, senza alcun dubbio, (i) che non sia obbligatorio riconoscere agli strumenti finanziari partecipativi il diritto di recesso negli stessi casi in cui sono previste cause legali inderogabili di recesso; e (ii) che non siano ravvisabili gli stessi limiti che l’autonomia statutaria incontra nel disciplinare il recesso dei soci, ad esempio in tema di criteri di valutazione e di liquidazione delle azioni, di procedimento da seguire per la liquidazione delle azioni e di cause convenzionali di recesso [70]. Non si ravvisano, pertanto, impedimenti affinché gli statuti delle società emittenti strumenti finanziari partecipativi possano disciplinare il recesso in favore dei possessori di tali strumenti, sia facendo ricorso, in quanto applicabili, alle norme che regolano il recesso degli azionisti [71] sia anche elaborando regole particolari per la specifica fattispecie [continua ..]