Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La struttura finanziaria della società in crisi (di Giuseppe Ferri jr)


SOMMARIO:

1. Premessa. - 2. Partecipazione sociale e procedure concorsuali. - 2.1. (Segue): la liquidazione collettiva del patrimonio sociale. - 2.2. (Segue): la ristrutturazione finanziaria e la riorganizzazione del capitale proprio. - 3. Competenze dei soci e riorganizzazione del capitale proprio. - 3.1. (Segue): l’impostazione tradizionale. - 3.2. (Segue): la nostra posizione. - 4. Attribuzione di partecipazioni sociali e destinazione del valore dell’impresa. - 4.1. (Segue): approvazione della proposta e tutela dei creditori. - 4.2. (Segue): potere di opposizione e tutela dei soci. - Nota bibliografica - NOTE


1. Premessa.

Il tema della struttura finanziaria della società in crisi evoca almeno due ordini di problemi, tra loro concettualmente e sistematicamente assai distanti, in quanto relativi l’uno al piano, tipologico, della fattispecie e l’altro a quello, normativo, della disciplina: nella prima prospettiva a venire in considerazione sono i peculiari atteggiamenti che i fenomeni della crisi e, in particolare, l’insolvenza, intesi nel significato tecnico di presupposto oggettivo delle procedure concorsuali, presentano, una volta riferiti all’impresa organizzata in forma societaria, in ragione della specifica struttura finanziaria che la caratterizza; nella seconda, si tratta invece di avere riguardo all’incidenza di tale struttura sulla ricostruzione delle regole applicabili nell’ipotesi in cui ad essere assoggettata a tali procedure sia un’impresa organizzata in tale forma, e, segnatamente, in forma di società di capitali: una tematica, quest’ultima, assai complessa ed alla quale conviene allora circoscrivere in questa sede l’attenzione. Al riguardo, appare opportuno muovere dall’individuazione dei tratti che caratterizzano la struttura finanziaria dell’impresa organizzata in forma di società: tratti che, più o meno direttamente, si prestano ad essere tutti ricollegati a quella che può indicarsi in termini di “etero-destinazione” del valore netto del patrimonio, alla circostanza cioè che il valore del patrimonio sociale è destinato, per la parte che eccede l’ammontare complessivo dei debiti (vale a dire appunto al netto del loro importo), non già alla società debitrice, titolare dello stesso patrimonio, bensì ai suoi soci, e dunque a soggetti da essa (formalmente) distinti. I soci ricoprono, infatti, una posizione peculiare e diversa da quella di entrambi i termini del “comune” rapporto obbligatorio: a costoro, infatti, spetta, analogamente a quanto è a dirsi in generale del debitore, il valore residuo del patrimonio, senza che tuttavia essi (a differenza di costui) siano chiamati a rispondere, almeno in via di principio, delle obbligazioni sociali garantite dal medesimo patrimonio; d’altra parte, gli stessi soci, pur prestandosi ad essere annoverati, accanto ai creditori sociali, tra i finanziatori della società, per quanto in [continua ..]


2. Partecipazione sociale e procedure concorsuali.

A sua volta, è proprio nell’emer­sione, nell’ambito della struttura finanziaria della società, dei soci, e cioè di soggetti che si collocano in una posizione per certi versi “intermedia” tra debitore e creditore, che deve ravvisarsi l’origine ultima delle difficoltà ad applicare all’impresa organizzata in forma societaria una disciplina, come quella concorsuale, che – e proprio in quanto dettata, in via generale, con riguardo ad ogni forma di impresa – mostra di riferirsi alla struttura ordinaria del rapporto obbligatorio: particolarmente eloquente, a questo proposito, risulta la configurazione degli effetti dell’apertura delle rispettive procedure, che vengono tra loro distinti a seconda che si producano nei confronti del debitore, in quanto soggetto passivo della procedura, e, rispettivamente, dei creditori, nella veste di beneficiari di quest’ultima; se anzi si considera che tali effetti si dispiegano, almeno in via di principio – e prescindendo da discipline esclusive di specifiche procedure (come ad esempio è a dirsi di quella relativa ai contratti pendenti e, prima ancora, del sistema revocatorio) – unicamente nei confronti di costoro, si dovrebbe giungere alla conclusione che i soci, ed in particolare quelli di società di capitali, gli unici ai quali si intende fare in questa sede riferimento, risultano, e proprio in quanto collocati in una posizione diversa da quella di entrambi i termini del rapporto obbligatorio, del tutto estranei ad ambedue le rispettive serie di effetti: con l’esito, per certi versi paradossale, che l’apertura di una procedura concorsuale a carico della società dovrebbe rappresentare una vicenda di per sé del tutto irrilevante, o comunque priva di rilevanza diretta, nei confronti dei suoi soci, alla quale cioè costoro finirebbero per restare in quanto tali indifferenti. Ai soci, infatti, non soltanto appare preclusa la partecipazione al concorso, in vero riservata ai creditori, che come detto costituiscono gli unici beneficiari della procedura, ma nemmeno si estende il principale effetto derivante dall’apertura di quest’ultima nei confronti del debitore, quello cioè rappresentato dal c.d. spossessamento (a seconda dei casi integrale o, come [continua ..]


2.1. (Segue): la liquidazione collettiva del patrimonio sociale.

 Ad una più approfondita riflessione, tuttavia, siffatta impostazione si rivela in realtà adeguata esclusivamente all’ipotesi di procedure liquidative o, meglio, all’eventualità in cui l’applicazione della disciplina concorsuale – e dunque l’apertura della procedura (allora di fallimento) – conduca alla liquidazione collettiva del patrimonio della società: una vicenda, questa, che, al pari dello spossessamento, risulta in vero circoscritta al patrimonio sociale, senza incidere sul patrimonio personale, né, quantomeno direttamente, sull’organizzazione della società; in questi casi, il socio continuerà in vero ad essere legittimato non soltanto a disporre della partecipazione sociale, ma anche ad avvalersi dei relativi poteri organizzativi: in quanto in via di principio patrimonialmente neutri (come in particolare è a dirsi della stessa nomina dei gestori, la quale, per quanto funzionalmente ridimensionata, ed anzi resa del tutto marginale, dalle concorrenti e prevalenti prerogative degli organi della procedura, continua a spettare in via esclusiva ai soci, salva ovviamente l’ipotesi di società azionarie che abbiano adottato il sistema dualistico di amministrazione e controllo), o comunque neutralizzati, in ordine alle conseguenze “dispositive” (in relazione al patrimonio sociale) indirettamente riconducibili al loro esercizio, dalla generale inefficacia, nei confronti dei creditori, di tutti gli atti in grado di alterare la composizione del patrimonio destinato ad essere liquidato. Tutto ciò non vale tuttavia a negare qualsiasi significato operativo ed economico alla permanenza in capo ai soci dell’originaria partecipazione sociale: è anzi proprio, e solo, in forza di quest’ultima che costoro, per quanto estranei alla liquidazione concorsuale, risultano comunque in grado, una volta che questa si sia conclusa, di appropriarsi dell’eventuale residuo attivo, vale a dire del valore netto (positivo) del patrimonio della società (che, per quanto insolvente, ben potrebbe risultare tuttora capiente), l’entità del quale segnerà, a sua volta, la misura del valore reale che la partecipazione continuerà, se del caso, a presentare.


2.2. (Segue): la ristrutturazione finanziaria e la riorganizzazione del capitale proprio.

La dottrina, almeno quella italiana, è tuttavia solita estendere, per certi versi meccanicamente, le conclusioni in esame all’ipotesi, ben diversa, in cui la procedura conduca alla ristrutturazione finanziaria della società in crisi, anche qualora, si noti, essa comporti la riorganizzazione non soltanto del capitale altrui (e cioè dei debiti), ma pure di quello proprio: come nell’even­tualità, espressamente prevista in tema di concordato (preventivo o fallimentare), in cui la soddisfazione dei crediti implichi, da un lato, il compimento di “operazioni straordinarie”, e si risolva, dall’altro, nell’“attribuzione ai creditori” ovvero “a società da questi partecipate” di “azioni” o “quote” (artt. 124, 1° comma, lett. c), e 160, 1° comma, lett. a), legge fall.) relative alla stessa società sottoposta alla procedura. E che, con tale formula, generica e potenzialmente onnicomprensiva, la legge abbia inteso alludere anche, ed anzi in primo luogo, alle partecipazioni nella stessa società in crisi, delle quali cioè i suoi soci risultano gli attuali titolari, e non solo a quelle dalla essa detenute in portafoglio, è dimostrato dalla considerazione che, altrimenti, non si comprenderebbe per quale ragione siano stati indicati, tra i diversi elementi del patrimonio sociale, soltanto quelli rappresentati da partecipazioni (in altre società), e confermato dalla circostanza che le azioni e le quote sono annoverate, nell’ambito dei possibili oggetti di attribuzione, accanto ad altri strumenti finanziari (per quanto rappresentativi di capitale altrui) emessi appunto dalla società in questione (come espressamente risulta dall’art. 125, 4° comma, legge fall.). Secondo l’impostazione dominante, anche nell’eventualità, e all’interno, di una ristrutturazione finanziaria della società i soci conserverebbero non soltanto le prerogative loro spettanti nell’ambito della relativa organizzazione, ma anche, ed anzi prima ancora, il potere di disporre in via esclusiva della propria partecipazione sociale: nel senso, e con l’esito, per un verso, di considerare comunque necessaria, al fine di modificare il capitale (e più in generale la struttura finanziaria) della società [continua ..]


3. Competenze dei soci e riorganizzazione del capitale proprio.

Passando all’esame delle singole soluzioni, può notarsi che quella volta a condizionare al consenso, collettivo o individuale, dei soci la riorganizzazione del capitale proprio e, rispettivamente, l’attribuzione delle relative partecipazioni, se, da un lato, muove dalla convinzione, di per sé discutibile, della strutturale inidoneità della procedura concorsuale ad incidere sull’organizzazione interna della società ad essa sottoposta e, a maggior ragione, sui suoi assetti proprietari, dall’altro conduce ad esiti che l’attuale disciplina positiva della legittimazione a proporre il concordato rende in vero problematici, tanto dal punto di vista operativo quanto da quello ricostruttivo.


3.1. (Segue): l’impostazione tradizionale.

Si consideri, infatti, in ordine al primo aspetto, che la tendenza a ritenere l’organizzazione della società per così dire impermeabile alla procedura aperta nei confronti di quest’ultima appare, a sua volta, riconducibile all’abitudine a considerare la società in termini di soggetto dell’impresa, cioè di imprenditore, e, conseguentemente, ad equiparare, anche sotto questo profilo, la posizione della società a quella dell’im­pren­ditore c.d. individuale: nel senso in particolare di esaurire il ruolo da essa ricoperto nell’ambito delle discipline concorsuali in quello di debitore, e dunque di soggetto passivo della procedura; di là dal fatto che, e già in via generale, la società emerge in termini non già di soggetto, ma di forma organizzativa dell’impresa, e cioè di disciplina, oggettiva, del suo finanziamento e del suo svolgimento, resta fermo che qualsiasi tentativo di assimilare la società all’imprenditore individuale non si presta comunque, e per definizione, ad essere esteso al profilo dell’organizzazione interna e men che meno alla posizione dei soci: e cioè ad aspetti tipici e, rispettivamente, esclusivi dell’impresa organizzata in forma societaria. D’altro canto, e si passa in tal modo al secondo aspetto, la ricostruzione in esame mal si concilia con la scelta positiva, adottata in occasione della recente riforma delle procedure concorsuali, di riconoscere, almeno in via di principio, all’organo amministrativo la competenza a proporre il concordato (preventivo o fallimentare) delle società di capitali (e, deve aggiungersi, di permettere ai soci di società di persone di assegnare la relativa legittimazione agli amministratori): la competenza, cioè, a deliberare sulla relativa proposta e sul suo contenuto, e non soltanto, si noti, a presentarla al tribunale o a sottoscriverla (un profilo, quest’ultimo, che la legge mostra in vero di disciplinare del tutto autonomamente dal primo, in termini peraltro comuni alle due classi di società, disponendo che la proposta “è sottoscritta da coloro che ne hanno la rappresentanza sociale”: art. 152, 1° comma, legge fall.); e, soprattutto, di riconoscere, seppur limitatamente al concordato fallimentare, il potere di presentare la relativa proposta non solo al fallito, ma anche a terzi, [continua ..]


3.2. (Segue): la nostra posizione.

A diverse conclusioni sembra possibile giungere muovendo dalla considerazione che il potere di proporre il concordato implica anche quello, per così dire, di “disporre” in ordine a tutto ciò che la proposta può legittimamente contenere (come del resto parte della dottrina è disposta ad ammettere, ma con esclusivo riguardo al concordato regolato, in materia di amministrazione straordinaria c.d. speciale, dall’art. 4-bis, lett. c), del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, sulla base, significativamente, della osservazione che, in tal caso, la legittimazione a presentare la relativa proposta viene riconosciuta al solo commissario straordinario): il che, alla luce della duplice scelta, da un lato, di riconoscere il potere in parola a soggetti comunque diversi dai soci (vale a dire all’organo amministrativo della società in crisi ovvero addirittura a terzi) e, dal­l’altro, di annoverare tra i possibili contenuti della proposta (o del piano) talune vicende rientranti, di norma, nell’ambito delle competenze, collettive o individuali, dei soci (quali appunto la riorganizzazione del capitale proprio ovvero l’attribuzione delle partecipazioni sociali nella società soggetta a procedura), induce allora a svincolare l’esecuzione di tali vicende dalla necessità del consenso di questi ultimi. Non si tratta, si noti, di immaginare uno spostamento delle relative competenze dai soci ai soggetti legittimati a proporre il concordato, ma, più limitatamente, di rinvenire nel concordato omologato, da chiunque sia stata in concreto presentata la relativa proposta, un titolo giuridico di per sé sufficiente ad assicurarne la completa esecuzione, la produzione cioè della totalità degli effetti delle operazioni in essa prefigurate: indipendentemente allora da qualsiasi intervento da parte di altri soggetti e, in particolare, dei soci. Si allude, più precisamente, quanto in particolare alle operazioni di riorganizzazione della struttura finanziaria della società, alla possibilità di riconoscere al provvedimento giudiziale di omologazione una rilevanza, organizzativa, del tutto analoga a quella che caratterizza le deliberazioni assembleari volte alla ristrutturazione del capitale proprio, il valore cioè di presupposto, appunto organizzativo, [continua ..]


4. Attribuzione di partecipazioni sociali e destinazione del valore dell’impresa.

Anche la seconda delle conclusioni alle quali si è soliti, seppure implicitamente, pervenire, vale a dire quella che esclude, o comunque circoscrive in termini particolarmente ridotti, la possibilità che la proposta di riorganizzazione finanziaria della società in crisi preveda trattamenti a favore dei suoi soci, discende, come accennato, dalla tendenza ad estendere alla vicenda della ristrutturazione del capitale proprio esigenze e principi in realtà esclusivi della liquidazione concorsuale del patrimonio. Una volta ammessa l’eventualità che i soci della società soggetta a procedura si ritrovino, in seguito alla sua ristrutturazione finanziaria, a partecipare a quest’ultima accanto ai creditori, divenuti nel frattempo essi stessi soci, come in vero accade qualora siffatta ristrutturazione non implichi l’attribuzione diretta ai creditori di tutte le partecipazioni sociali né sia preceduta dal loro annullamento conseguente all’azzeramento del capitale (peraltro ammissibile solo in presenza di perdite corrispondenti, e cioè pari, o superiori, al suo importo, nel rispetto, quanto in particolare alla società a responsabilità limitata, della disposizione di cui all’art. 2482-quater c.c., sempre che la si ritenga applicabile anche alle riorganizzazioni concorsuali), una volta ammesso cioè che i soci possano conservare le originarie partecipazioni sociali, continuando in tal modo a partecipare al capitale “ristrutturato”, appare coerente ritenere legittima l’attri­buzione a costoro anche di nuove partecipazioni nella medesima società, come pure di partecipazioni in una diversa società (tendenzialmente di nuova costituzione), alla quale sia stato assegnato, in parte o in tutto, il patrimonio della prima: come pure, può aggiungersi, la corresponsione a loro favore di corrispondente liquidità. Se, infatti, si considera che, in questo ambito, la partecipazione sociale assume il significato di strumento rappresentativo del valore dell’impresa, e la società quello, altrettanto strumentale, di forma di quest’ultima (come in vero la stessa legge mostra di riconoscere, equiparando, agli artt. 124, 1° comma, lett. c), e 160, 1° comma, lett. a), legge fall., l’attribuzione delle partecipazioni sociali ai creditori a quella effettuata a favore di [continua ..]


4.1. (Segue): approvazione della proposta e tutela dei creditori.

Resta, peraltro, fermo che la proposta di concordato, anche qualora preveda trattamenti a favore dei soci, rimane pur sempre destinata, o meglio rivolta, esclusivamente ai creditori, vale a dire ai fornitori di capitale altrui, ai quali, in vero, la legge mostra di riservare la legittimazione ad approvarla: ed è appunto limitatamente a quest’ultimo profilo, e non invece in ordine al contenuto della proposta, che ha senso riferire anche alla ristrutturazione quella netta differenza di posizione che, nell’ambito della liquidazione, vale a distinguere i creditori dai soci; più precisamente, i creditori, così come sono i soli legittimati, in questo secondo caso, a partecipare al concorso, allo stesso modo devono ritenersi gli unici a cui spetta, nel primo, la legittimazione a partecipare alla approvazione della relativa proposta, ad esclusione allora dei soci: senza che tuttavia ciò valga ad escludere che la medesima proposta possa prevedere trattamenti anche a favore di questi ultimi. A sua volta, proprio la circostanza che i soci, per quanto destinatari di trattamenti previsti nella proposta, devono ritenersi in ogni caso privi della legittimazione ad approvarla – sia singolarmente sia in quanto autonoma classe – fa per ciò solo venir meno qualsiasi esigenza di tutela dei creditori, e cioè di coloro che, nell’ordine di distribuzione del valore del patrimonio sociale, occupano una posizione per definizione più elevata rispetto a quella, invece residuale, riservata ai soci: per il caso, in particolare, in cui la proposta finisca per destinare a questi ultimi un valore eccessivo o comunque maggiore di quello che sarebbe eventualmente loro spettato all’esito della liquidazione del medesimo patrimonio. Decidendo di riservare ai soci una parte del valore dell’impresa, i creditori, e proprio in quanto unici legittimati ad approvare la proposta, si sono, infatti, a ben vedere limitati a disporre, benché a maggioranza, del proprio credito: una scelta, questa, che, in forza dell’operare del principio maggioritario, non si presta peraltro, almeno in via di principio, ad essere contestata nel merito da parte dei creditori dissenzienti, salva ovviamente l’ipotesi di dissenso di una delle classi nelle quali essi siano stati suddivisi (nel qual caso il giudice è chiamato a valutare la convenienza della proposta, ai sensi degli artt. 129, 5° comma, e [continua ..]


4.2. (Segue): potere di opposizione e tutela dei soci.

In una prospettiva, come quella in esame, volta a circoscrivere ai creditori la legittimazione ad approvare anche le proposte di concordato che prevedono trattamenti a favore dei soci, nello stesso momento in cui viene meno l’esigenza stessa di accordare ai primi una qualche forma di tutela, di prevedere cioè limiti massimi al valore da destinare ai secondi, si rende ancora più urgente la necessità di individuare strumenti in grado di evitare il rischio, opposto, che a questi ultimi, e cioè ai soci, finisca per essere sottratto l’eventuale valore netto positivo che il patrimonio della società, per quanto in crisi, potrebbe pur sempre presentare: un valore, quest’ultimo, che, in caso di liquidazione del patrimonio, costoro, come accennato, sarebbero comunque in grado di conservare, in forma di residuo attivo, ma che, al contrario, possono finire per perdere, integralmente e definitivamente, a seguito di una vicenda, come appunto la ristrutturazione del capitale proprio, che incide, per definizione, sulla partecipazione sociale (comportandone, a seconda dei casi, l’attri­bu­zione ai creditori, l’annullamento, o comunque la riduzione del valore), e dunque sul titolo della pretesa “residuale” in esame. Esclusa, per le ragioni che si sono dette, la possibilità di mantenere in capo ai soci la competenza esclusiva in ordine alle operazioni di riorganizzazione del capitale proprio previste nella proposta di concordato, non resta che fare a tal fine riferimento al generale potere di opposizione alla sua omologazione che la legge riconosce, individualmente, a “qualsiasi interessato” (artt. 129, 2° comma, e 180, 2° comma, legge fall.): una formula, questa, in grado di ricomprendere, per la sua genericità, anche i singoli soci. Questi ultimi devono pertanto ritenersi legittimati ad investire il tribunale del potere di valutare anche nel merito la proposta, limitatamente alla sussistenza di un valore netto positivo che, in caso di liquidazione, sarebbe loro spettato: in termini, dunque, per certi versi analoghi a quanto la legge permette di fare, come già accennato, ai creditori della classe dissenziente nei confronti di un concordato approvato dalla maggior parte delle classi, i quali in vero possono contestare il fatto che il proprio credito sia stato trattato “in misura… inferiore rispetto alle alternative concretamente [continua ..]


Nota bibliografica

FABIANI, Contratto e processo nel concordato fallimentare (Torino, 2009), 109 ss.; FERRI jr, “Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali”, Riv. dir. comm., 2006, I, da 747 e II, da 762 ss.; FIMMANÒ, “L’allocazione efficiente dell’im­presa in crisi mediante la trasformazione dei creditori in soci”, Riv. soc., 2010, da 57, 91 ss.; GUERRERA, “Struttura finanziaria, classi dei creditori e ordine delle prelazioni nei concordati delle società”, Dir. fall., 2010, I, da 707 (e, con il titolo “Struttura finanziaria, classi dei creditori e ordine delle prelazioni nei concordati delle società di capitali”, in FORTUNATO-GIANNELLI-GUERRERA-PERRINO (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Atti del convegno di Palermo del 18-19 giugno 2010 (Milano, 2011), da 243), 710 ss., 715 ss. e 720 ss.; GUERRERA-MALTONI, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, ivi, 2008, da 17, 18 ss., 30 ss., spec. 32 ss., 37 ss., 46 ss., 50 ss., 63 ss., spec. 65 ss. e 68 ss.; GUIZZI, “Responsabilità degli amministratori e insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola”, Riv. dir. impr., 2010, da 227, 242 ss.; LIBONATI, “Prospettive di riforma sulla crisi dell’impresa”, Giur. comm., 2001, I, da 327 (e in Studi in onore di Piero Schlesinger (Milano, 2004), tomo V, da 4007), 331 ss.; ID., “Crisi societarie e governo dei creditori”, Dir. e giur., 2007, 10, 13 ss. e 17; MAUGERI, “Partecipazione sociale e attività di impresa” (Milano, 2010), da 385, 393 ss., spec. 395 ss., e 399 ss., spec. 402 ss.; ID., “Sul regime concorsuale dei finanziamenti soci”, Giur. comm., 2010, I, da 805 (e in Studi in onore di Umberto Belviso (Bari, 2011), vol. II, da 1273), 826 ss.; PACIELLO, “L’art. 2499 c.c.: appunti per una ricerca”, Riv. dir. comm., 2012, I, da 31, 41 ss.; M. ROSSI, “Postergazione e concordato”, Riv. dir. comm., 2011, II, da 1, 32 ss., spec. 35 ss.; STANGHELLINI, sub 124, in JORIO (diretto da)-FABIANI (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare (Bologna, 2007), tomo II, da 1946, 1961 ss.; ID., “Le [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2012