<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Tetti di voto, tetti di partecipazione (di Giuseppe Alberto Rescio)


SOMMARIO:

1.   Tetti e soglie nel rapporto sociale: la “centralità” del diritto di voto - 2. Tetto alla partecipazione: due osservazioni - 3. Tetti di voto: evoluzione di un “mezzo di difesa” - 4. Varianti funzionali della fattispecie - 5. Limiti di ammissibilità delle singole varianti - 6. Varianti strutturali della fattispecie - 7. Tetti di voto e calcolo dei quorum - 8. Tetti di voto nelle quotate e interferenze con l’opa obbligatoria - NOTE


1.   Tetti e soglie nel rapporto sociale: la “centralità” del diritto di voto

Diversamente da quanto avviene nell’edilizia, nel diritto societario il “tetto” è una specie del genere “soglia”. Per “soglia” si intende il punto di cambiamento nella disciplina e/o nel contenuto di una posizione giuridica semplice (es. diritto di voto) o complessa (es. un fascio di diritti inclusi nella partecipazione sociale) per la quale sia rilevante una qualsiasi forma di misurazione quantitativa. L’effetto del superamento in alto o in basso di una determinata soglia consiste in un cambiamento che si può apprezzare sul piano della intensità o forza o peso della posizione giuridica (modifica quantitativa) oppure sul piano delle qualità di tale posizione (modifica qualitativa), ivi inclusa la spettanza o il venir meno della posizione giuridica interessata dalla soglia. Per “tetto” o “misura massima” si intende – e in particolare intende l’art. 2351 c.c. – quella soglia il cui raggiungimento blocca le posizioni giuridiche sul piano quantitativo, impedendo che esse crescano di intensità come dovrebbero in base al criterio di misurazione rilevante: così il tetto al voto o alla partecipazione fa sì che l’intensità del voto e/o delle altre posizioni giuridiche incluse nella partecipazione sociale e suscettibili di variare in intensità cresca, con il crescere del possesso azionario, non oltre la soglia massima stabilita. A questa soglia massima o tetto, quando essa origina dall’autonomia statutaria, sono dedicate queste mie riflessioni, le quali dunque non si estenderanno ad altre soglie applicabili al voto o ad ulteriori posizioni giuridiche 1. Oggetto di esame sarà principalmente il tetto al voto per più ragioni. In primo luogo, perché il tetto alla partecipazione comporta sempre (solo o anche) un tetto al voto, e storicamente è stato utilizzato come strumento per apporre un limite massimo al voto quando quest’ultima figura destava dubbi di ammissibilità 2. In secondo luogo, perché l’affrontare i problemi del tetto per ogni singola posizione giuridica semplice inclusa nella partecipazione (diritto all’utile, diritto di opzione, diritto di prelazione nella circolazione delle azioni, ecc.) richiederebbe uno spazio che oltrepassa i confini di un saggio che aspiri ad essere analitico quanto basta per avere una qualche [continua ..]


2. Tetto alla partecipazione: due osservazioni

Prima di rivolgere l’attenzione alle clausole che appongono soglie massime al voto, e proprio per rimarcare le principali differenze tra le due fattispecie, sembra qui corretto limitarsi a due semplici osservazioni pertinenti alla posizione di un tetto alla partecipazione. Con la prima si vuole sottolineare che è necessario interpretare la relativa clausola per poter desumere a quali posizioni giuridiche, oltre al voto, si pretenda di applicare il tetto: una clausola opaca sul punto può determinare notevoli incertezze 3. Nel dubbio, proprio in quanto a partire dalla riforma societaria del 2003 il sistema conosce espressamente il tetto al (solo) voto, il riferimento alla partecipazione come tale ne sollecita la considerazione unitaria 4, sicché il criterio guida dovrebbe consistere nella estensione del tetto a tutte le posizioni giuridiche graduabili, tanto di tipo amministrativo quanto di tipo patrimoniale, per le quali l’ordi­namento tolleri l’apposizione di un tetto, con la sola eccezione del diritto di alienare la partecipazione. Quest’ultima eccezione – che implica la non deducibilità di un limite alla immissione di azioni in circolazione in capo al potenziale alienante come effetto naturale di un tetto alla partecipazione – si giustifica perché la funzione del tetto si correla normalmente alla determinazione dei poteri del socio nel suo agire all’interno del gruppo; ed inoltre perché limitare l’alienazione delle azioni entro un tetto significherebbe soltanto spezzare l’alienazione complessiva in più tranches: non è detto che ciò talora non risponda ad un qualche lecito interesse a non mettere sul mercato un’eccessiva quantità di azioni in vendita specie in particolari evenienze, ma un tale obiettivo merita di essere esplicitato (e di tradursi in adeguata regolamentazione) non potendo ritenersi una mera conseguenza della posizione di un tetto alla partecipazione. La seconda osservazione mira a prendere posizione sul problema se il tetto alla partecipazione implichi anche una limitazione alla circolazione delle azioni incidendo sull’acquisto della partecipazione eccedente e/o sulla sua riconoscibilità da parte della società. Se così fosse, la legittimazione all’esercizio dei relativi diritti sociali rimarrebbe in capo al cedente. Se invece così non [continua ..]


3. Tetti di voto: evoluzione di un “mezzo di difesa”

Quella dei tetti di voto è una storia lunga. Diverse ricerche ne hanno evidenziato la notevole frequenza nelle corporations americane durante il periodo che comprende le ultime decadi del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Questione discussa è quale sia stata la causa prima dell’affermazione e poi del tramonto di simili tecniche di limitazione del peso del voto del singolo azionista (al tetto spesso si affiancava o si sostituiva la spettanza del voto in misura meno che proporzionale rispetto al numero di azioni possedute). Se invocare un generale ossequio a principi di “democrazia” azionaria non consente di compiere passi avanti nella individuazione degli interessi protetti, il dilemma consiste nel decidere se si trattasse: (i) di sistemi di tutela, e quindi di incentivazione, dei piccoli investitori contro lo strapotere dei grandi investitori in ordinamenti sforniti di adeguate regole di protezione al riguardo 7, ovvero (ii) di sistemi di tutela dei soci “consumatori”, cioè di quei soci interessati non tanto alla massima remunerazione dell’investimento quanto alla diretta o indiretta fruizione, a costi ragionevolmente contenuti, dei servizi forniti dalla loro società 8. A conforto di questa seconda tesi vengono offerti dati convincenti che collegano la presenza delle restrizioni nel voto al settore di attività delle società interessate. I tetti di voto, infatti, erano presenti soprattutto nelle società che realizzavano e gestivano strade a pedaggio, ferrovie, canali, ponti, con significativi riscontri anche nel settore bancario e assicurativo, mentre non se ne trovava applicazione nell’impresa manifatturiera: se ne è desunto che nelle prime società prevalevano le esigenze di quei numerosi soci – per lo più commercianti che operavano nei luoghi interessati dal­l’attività della società o proprietari degli immobili siti nel medesimo territorio – maggiormente interessati ai benefici indotti dall’esercizio dell’attività sociale e/o alla diretta fruizione di prestazioni altrimenti non ottenibili o ottenibili a costi decisamente maggiori. Nelle seconde società – e, con il passare del tempo e l’au­men­tare del numero di imprese concorrenti, anche nelle prime – prevalevano la figura e l’interesse dei soci puramente investitori, [continua ..]


4. Varianti funzionali della fattispecie

La diversità degli obiettivi perseguibili con il tetto di voto determina la variabilità della fattispecie sul piano funzionale. Le varianti, sotto questo profilo, si differenziano in relazione ai destinatari del vincolo e si elencano qui di seguito a prescindere dal problema della loro coerenza con l’ordinamento, oggetto di esame nel § 5. In primo luogo viene in considerazione il tetto di voto generale (i), valevole per tutte le azioni con voto – quale che sia il rapporto “voto per azione” – e per tutti gli azionisti. In altre parole, il tetto si applica a tutte le azioni dotate del voto indipendentemente da chi sia il loro titolare e dunque vale per tutti gli azionisti legittimati al voto indipendentemente dalle caratteristiche delle loro azioni. Con varie tecniche si può però ipotizzare una selezione dei destinatari del tetto di voto. Così è ben nota la variante del tetto di voto parziale per tipologia di azioni (ii), nella quale il limite si rivolge a tutti gli azionisti che divengono titolari di una data tipologia di azioni con voto ed opera soltanto in relazione al voto attribuito da tale tipo di azioni. Ciò significa che, se lo stesso socio acquista azioni soggette al tetto ed azioni che non lo sono, egli subirà gli effetti limitativi del tetto soltanto con le prime azioni, non anche con le seconde, il cui voto potrà quindi essere pienamente esercitato anche se, sommato al voto esercitato con le azioni a voto “calmierato”, dovesse superare il tetto stabilito per quest’ultime (va da sé che lo statuto, per evitare che ciò accada, potrebbe impedire il possesso di azioni di diverse tipologie da parte di uno stesso socio o, comunque, porre regole idonee ad evitare il cumulo dei voti attribuiti dalle diverse azioni oltre una certa misura). Si può concepire anche un tetto di voto parziale per categorie di azionisti (iii), ove si intendano individuare i legittimati al voto che subiscono il tetto non già in relazione al tipo o categoria di azioni possedute, bensì in relazione alla loro appartenenza o non appartenenza a gruppi variamente determinati. Ad esempio, il vincolo potrebbe interessare, in positivo o in negativo, tutti i soci che siano o non siano: dipendenti della società o del gruppo di appartenenza; azionisti “stabili” (previa determinazione [continua ..]


5. Limiti di ammissibilità delle singole varianti

A) Iltetto di voto generale(i), sia esso stabilito per tutte le delibere assembleari o solo per alcune 21, è la variante specificamente contemplata dall’art. 2351, 3° comma, c.c. La clausola che lo prevede, pertanto, non dà luogo a problemi di ammissibilità, salvo il seguente: se la misura massima alla quale venga limitato il diritto di voto possa essere fissata in un voto, di tal che ogni azionista – indipendentemente dal numero di azioni con voto possedute – abbia a disposizione un solo voto, cioè un voto conteggiabile per 1/1 in ordine alla verifica del quorum  Un simile tetto porterebbe al voto capitario nella s.p.a. 22, poiché ogni socio conterebbe come ogni altro socio indipendentemente dal numero di azioni (con voto) rispettivamente imputabili. La questione può essere posta chiedendosi se – constatato il moltiplicarsi degli strumenti atti a scardinare il principio di proporzionalità tra proprietà/rischio e controllo/potere in tutte le s.p.a., anche quotate – ancora vi sia, ed eventualmente quale sia, una soglia minima al di sotto della quale non si possa scendere nel fissare il tetto di voto. Invero, di una tale soglia minima nell’art. 2351 non vi è traccia. Essa, tutt’al più, potrebbe essere desunta da altre norme in tema di s.p.a. e dal confronto con quelle dettate per altri tipi sociali: sotto il primo profilo si è notato che le attuali norme sulla società anonima, pur consentendo di derogare al principio di proporzionalità, non consentono di prescindervi del tutto; sotto il secondo profilo si fa presente che l’introduzione del voto capitario innesterebbe, nel “corpo” organizzativo della società capitalistica per eccellenza, un elemento spurio, tipico delle società di stampo cooperativo 23. Orbene, è vero che le azioni a voto limitato e senza voto non possono rappresentare più della metà del capitale sociale, che un’azione a voto plurimo non può concedere più di tre voti, che il voto maggiorato non può spingersi fino a riconoscere più di due voti per azione, che uno strumento finanziario attribuente il voto (e quindi limitante il potere dell’azionista) non può attribuire un voto generale. Ma da tutti questi limiti strutturali dettati per singoli strumenti di alterazione del [continua ..]


6. Varianti strutturali della fattispecie

A ben vedere, l’art. 2351, 3° comma, c.c. non si occupa della struttura della fattispecie: la norma legittima un risultato – la limitazione del voto ad una misura massima in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto – senza descrivere il meccanismo tecnico mediante il quale lo si può ottenere. Ebbene, quel risultato è in astratto conseguibile in vario modo, e precisamente agendo sulla titolarità, o sull’esercizio e, quindi, sulla legittimazione, o ancora sul contenuto, cioè sull’intensità o forza, del diritto di voto. Variante (a). Il tetto potrebbe agire sulla titolarità del diritto di voto, se si ritiene e si fa in modo che: (i) l’azionista sia titolare di una pluralità di diritti di voto, tanti diritti quante sono le azioni possedute, il cui contenuto (o intensità o forza) dipende dal rapporto “voto per azione”; (ii) tutte le azioni interessate dal tetto diano il diritto di voto; (iii) il diritto di voto attribuito da alcune azioni venga meno per effetto della compresenza, nel patrimonio dell’azionista (o nell’area di imputabilità all’azionista definita dalla clausola), di un numero di diritti di voto eccedente il tetto 46. Variante (b). Il tetto, però, potrebbe anche agire non sulla titolarità ma sulla legittimazione, vale a dire sulla possibilità di esercitare il diritto di voto, ferma restando la titolarità di quel diritto segnata dal possesso azionario. Tra l’altro, è qui indifferente ricostruire la posizione dell’azionista in termini di titolarità di una pluralità di diritti di voto, tanti diritti quante sono le azioni possedute, oppure in termini di titolarità di un solo diritto di voto il cui contenuto dipenda dalla quantità di azioni possedute e dal rapporto “voto per azione”. In ogni caso si presuppone che egli, pur rimanendone titolare, possa esercitare i diritti o il diritto di voto di sua spettanza nei limiti del tetto stabilito 47. Variante (c). Infine il tetto potrebbe agire sul contenuto del diritto di voto, e cioè sul rapporto “voto per azione”. Anche in questa variante strutturale è indifferente stabilire se l’azionista sia titolare di una pluralità di diritti di voto, tanti diritti [continua ..]


7. Tetti di voto e calcolo dei quorum

Una seconda questione di disciplina, con la quale saggiare la rilevanza o irrilevanza delle varianti strutturali sopra esposte, è offerta dal calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi: nelle delibere assembleari richiedenti la presenza e/o il voto favorevole di una maggioranza di capitale, in qual modo interferisce il tetto di voto sulla integrazione delle maggioranze prescritte dalla legge o dallo statuto? 53 In forza dell’art. 2368, 1° e 3° comma, c.c. nel quorum costitutivo 54 non si computano le azioni prive del diritto di voto nell’assemblea stessa, mentre si computano quelle per cui non può essere esercitato il voto. Nel tetto di voto strutturato secondo le varianti (b) e (c) nessuna azione viene privata del diritto di voto a causa del tetto: quindi tutte le azioni sono da computare, ancorché il voto corrispondente ad alcuna di esse non possa essere esercitato (b) 55 o risulti depotenziato (c). Invece nella variante (a), ove venisse effettivamente realizzata in modo tale da potersi affermare che le azioni possedute in eccedenza rispetto al tetto non attribuiscono la titolarità del voto, si dovrebbe concludere che quelle azioni non siano da computarsi 56 57. Per rendersi conto dei diversi esiti a cui conducono le diverse impostazioni, si rifletta sulla seguente ipotetica situazione. In una s.p.a. con tetto al 10% del capitale rappresentato da azioni ordinarie, un socio partecipa per il 40% del capitale, ad altri tre soci spetta il 15% ciascuno, ancora tre soci possiedono una partecipazione del 5% ciascuno. Se il tetto non incidesse – varianti (b) e (c) – potrebbe integrarsi il quorum costitutivo dell’assemblea ordinaria in prima convocazione (almeno la metà del capitale) con la semplice presenza del socio al 40% e di due soci al 5%, o di un socio al 5% e dei tre soci al 15%. Se il tetto incidesse – variante (a) – e supponendo che esso vada applicato in relazione ai possessi che risultano alla società alla data rilevante, la base di calcolo del quorum costitutivo sarebbe pari al 55% del capitale sociale 58, cosicché il quorum sarebbe integrato con la presenza del 28% del capitale sociale, ma con la precisazione che ogni socio non può incidere per più del 10%: la presenza del socio con il 40% (ma conteggiabile per il 10%) e di due soci [continua ..]


8. Tetti di voto nelle quotate e interferenze con l’opa obbligatoria

In base all’art. 106 t.u.f., nel testo vigente dopo la legge n. 116/2014, l’obbligo di promuovere un’opa totalitaria consegue alla detenzione di una partecipazione superiore alla soglia del 30% ovvero alla disponibilità di diritti di voto in misura superiore al 30% dei medesimi, a seguito di acquisti o di maggiorazione del voto. Salvo che nelle PMI, il cui statuto può variare la soglia rilevante tra il 25% e il 40%, l’obbligo di opa scatta anche in caso di partecipazione che superi, a seguito di acquisti, il 25% ove non vi sia nessun altro azionista con una partecipazione più alta. Una volta aperta la strada al tetto di voto nelle società quotate, si tratta di capire se e in qual modo incida la posizione di un tetto di voto con riferimento ad entrambi i presupposti rilevanti: la “partecipazione” e la “disponibilità di voti”. Sotto il profilo della “disponibilità di voti” pare evidente che la posizione di un tetto generale di voto al di sotto della soglia rilevante, per es. al 20%, impedisca a chiunque di disporre di diritti di voto in modo da far scattare l’obbligo di opa per il solo effetto della diretta riconduzione di azioni con voto alla sfera giuridica di un singolo azionista 63. Il tetto parziale di voto, per contro, accresce le probabilità che la soglia dei voti disponibili venga superata da coloro che non vi sono soggetti, in quanto i diritti di voto di cui essi dispongono vanno parametrati ad un totale da cui occorre sottrarre i diritti di voto persi (non importa se nella titolarità o nella legittimazione all’esercizio o nel peso complessivo) per effetto del superamento del tetto da parte di singoli azionisti che vi sono soggetti. Sotto il profilo della “partecipazione”, invece, non è altrettanto evidente se e come giochi il tetto di voto, generale o parziale che sia. La soglia rilevante di “partecipazione”, infatti, potrebbe essere superata pur quando a questa non corrispondano diritti di voto di pari peso percentuale 64. Si pensi all’azionista che a seguito di acquisti detenga una partecipazione del 31% soggetta ad un tetto di voto al 10%: fa scattare l’obbligo di opa il superamento della soglia posta alla partecipazione, anche se a quest’ultima dovesse accompagnarsi un’influenza sulle decisioni assembleari non superiore al 10%? È utile [continua ..]


NOTE