<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il trasferimento di asset strategici tra competenze non scritte dell'assemblea e lesione dei diritti dei soci (di Luca Della Tommasina)


L’articolo ha ad oggetto la tutela dei soci di società di capitali contro atti dispositivi di asset strategici decisi dagli amministratori senza la cooperazione dell’assemblea. L’analisi prende le mosse da una recente sentenza del BGH che esclude l’applicazione analogica alla s.r.l. del § 179a AktG, il quale – nell’ambito di società per azioni – riserva agli azionisti il potere di decidere l’alienazione del­l’intero patrimonio sociale. Nell’articolo, la vicenda, solitamente ricostruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane alla luce della nota teoria delle competenze implicite dell’assemblea, viene trasferita su un piano diverso, incentrato sulla nozione di lesione possessoria – la lesione subìta dai soci in presenza di un infungibile rapporto di servizio tra gli asset ceduti e il loro investimento – e sulla conseguente tutela mediante azione di spoglio.

Asset deals between shareholders’implied powers and impairment of their ownership rights

The article relates to the protection for members of limited companies against asset deals decided by managers without any involvement of shareholders’meeting. The analysis starts from a recent ruling by the German Supreme Court on the scope of application of § 179a AktG making the sale of the business subject to the authorization of the members. In this article, notwithstanding the widespread tendency to focus the argument on the powers of decision, the asset deals are addressed from another point of view, based on the concept of the impairment to shareholders’ownership rights – on the assumption that those assets were concretely irreplaceable in connection with their return expectations – and on the relevant bringing proceeding.

CORTE SUPREMA FEDERALE BGH, 8 gennaio 2019 – II ZR 364/18 L’8 gennaio 2019, la Seconda Sezione Civile della Corte Suprema Federale (nella seguente composizione: Presidente Prof. Dr. Drescher, Giudici Born e Sunder, Giudice B. Grüneberg e Giudice V. Sander) ha deciso quanto segue:   (Omissis) In fatto La ricorrente è una società a responsabilità limitata. Entrambi i soci, Bä. e Ba., hanno una quota di partecipazione al capitale pari a 12.500 euro. L’attività d’impresa esercitata dalla s.r.l. ricorrente consisteva principalmente nel commercio, nella produzione, nel montaggio e nella riparazione di porte e finestre. La ricorrente è proprietaria di un fondo sul quale si trovano altresì gli attrezzi da lavoro e i macchinari utilizzati. Il 18 dicembre 2013 i due soci decidevano lo scioglimento anticipato della società e la cessazione dell’attività a partire dal 31 dicembre 2013. I due soci assumevano l’ufficio di liquidatori della società con poteri di firma disgiunta. I due soci avevano concordato di cedere il fondo della società nel quadro delle operazioni di liquidazione. Il socio Bä. si mostrava sin da subito interessato ad acquistare il fondo. Nonostante ciò, il socio Ba. lasciò che le trattative con l’odierno resistente per la vendita del fondo proseguissero con la mediazione di un avvocato e di un agente di commercio. Con lettera del 4 agosto 2014 inviata a Ba., Bä. si dichiarava pronto ad acquistare il fondo al prezzo di 230.000 euro. Di conseguenza, il terzo – odierno resistente – alzava la sua offerta a 235.000 euro. Con lettera del 20 agosto 2014, Bä. dichiarava di essere disposto, a determinate condizioni, ad accettare anche un prezzo di acquisto di 235.000 euro. Con la stessa chiedeva altresì al consocio Ba. di confermargli entro un breve termine che il fondo non sarebbe stato venduto a terzi. Il 16 settembre 2014 la società ricorrente, rappresentata dal liquidatore Ba., e l’odierno resistente stipulavano il contratto di cessione del fondo definendo un prezzo di acquisto di 235.000 euro. Nel mese di ottobre 2014 veniva registrata la prevista nota di garanzia a favore del terzo acquirente. La società ricorrente sostiene che Bä. aveva già comunicato al terzo, con lettera del 18 luglio 2014, di non essere d’accordo con la vendita del fondo e che sul punto non c’era stata alcuna decisione dell’assemblea dei soci. Ciononostante, secondo la ricorrente, il terzo – odierno resistente – aveva chiuso gli occhi in modo gravemente negligente di fronte all’abuso dei poteri di rappresentanza commesso dal liquidatore Ba. In primo grado il Landgericht ha accolto [continua..]
SOMMARIO:

1. Il trasferimento di asset strategici di società di capitali: premessa - 2. La giurisprudenza tedesca e la mancata codificazione di una competenza non scritta dei soci di GmbH - 3. L’ordinamento italiano: il problema delle competenze - 4.1. Il caso della s.r.l.: la specificità della cessione di asset strategici nell’àm­bito delle regole di competenza - 4.2. (Segue): la società per azioni e la competenza non scritta dell’assemblea su operazioni supergestorie: i limiti di una razionalizzazione del problema in chiave di competenze - 5.1. La tutela dei soci contro il trasferimento di asset strategici: la reazione ad un’interversione del possesso idonea ad alterare le condizioni di rischio dell’in­vestimento - 5.2. (Segue): profili processuali e scientia spolii del terzo acquirente - 6. Cessione di asset strategici e limiti legali al potere di rappresentanza - 7. L’ipotesi di una ratifica del negozio di cessione - 8. Il fondamento anti-istituzionalistico della competenza non scritta dell’as­semblea sulla cessione di asset strategici. Cessione non autorizzata e reazione legittima a situazioni di dead-lock - NOTE


1. Il trasferimento di asset strategici di società di capitali: premessa

Il trasferimento di asset strategici di società di capitali non deciso né autorizzato dai soci rappresenta un vero e proprio topos letterario per gli studiosi del diritto commerciale [1]. Le ragioni di interesse verso la vicenda sono perlomeno tre. In primo luogo, essa è capace di intercettare problemi di vertice della disciplina di organizzazione dei poteri nelle società di capitali [2]: poteri, questi, che inevitabilmente mutano, tanto in prospettiva diacronica – per il diverso peso che nel tempo hanno assunto owners e managers nella “direzione” dell’impresa – quanto in prospettiva sincronica, in riferimento – cioè – al diverso atteggiarsi di un medesimo problema di governance (se calato) ora all’interno delle società azionarie ora all’interno delle società a responsabilità limitata. La seconda ragione è data dal fatto che la vicenda è in grado più di altre di mettere in scena in maniera plastica un contrasto tra due centri di interesse – i soci della società alienante e il terzo acquirente – che è quasi istintivo addebitare ad un comportamento infedele del rappresentante della società o in ogni caso ad un suo operato ultra vires: di qui la tendenza della dottrina e della giurisprudenza a risolvere il problema in base alla disciplina della rappresentanza organica e dei limiti (legali) al relativo potere [3]. La terza ragione sta nel fatto che la circolazione dell’azienda è vicenda rilevante per il mercato nel suo complesso. E il mercato proietta una luce particolare sul fenomeno della cessione di asset strategici, spostando il conflitto (tra soci e terzi) su un piano assiologicamente diverso, che contrappone – da un lato – una società che corre il rischio di diventare una “scatola vuota” e di dover riprogrammare l’investimento sin dai propri elementari “atti di organizzazione” [4] e – dall’altro lato – nuovi investitori che “mettono le mani” su fattori produttivi già “assegnati”, rendendosi attori di un ricambio che astrattamente – se solo si prescinde per un istante dalla [continua ..]


2. La giurisprudenza tedesca e la mancata codificazione di una competenza non scritta dei soci di GmbH

Un ulteriore stimolo alla riflessione sul tema proviene da una recente pronuncia del BGH resa in riferimento ad un contratto di compravendita (a effetti obbligatori) avente ad oggetto l’asset principale – un immobile – di una GmbH in liquidazione [6]. Contratto, questo, che era stato stipulato con un terzo da uno dei due liquidatori (con firma disgiunta) – entrambi anche soci della GmbH con partecipazione paritaria al capitale – nonostante il terzo, in pendenza delle trattative, avesse ricevuto notizia del dissenso dell’altro socio-liquidatore e fosse stato avvertito della mancanza di una preventiva deliberazione assembleare favorevole alla cessione del bene. Su istanza della società, il locale Landgericht aveva dichiarato inefficace il Kaufvertrag perché non sorretto dalla deliberazione dell’assemblea dei soci richiesta dal § 179a AktG per il trasferimento dell’intero patrimonio di società per azioni e – in forza di applicazione analogica – di società a responsabilità limitata [7]. In contrasto con il decisum del giudice di primo grado, il BGH: i) ha negato l’applicazione analogica alla GmbH del § 179a AktG, in ragione della autonomia di disciplina dei due tipi societari e in particolare sulla base dei maggiori poteri informativi, di controllo e di “intervento” (Mitwirkungsrechte) che spettano al socio di s.r.l. [8] e che rendono non necessaria (appunto perché sostituita da altri e più penetranti strumenti di autotutela [9]) una Kompetenzregel potenzialmente insidiosa per la stabilità del traffico giuridico [10]; ii) non ha tuttavia escluso che pure nell’ambito della GmbH possa in concreto configurarsi un dovere del Geschäftsführer di provocare una deliberazione dell’assemblea dei soci – prima e in funzione di determinate operazioni gestorie – se una siffatta Zustimmungsvorbehalt risulti imposta (non da un’astratta regola di competenza ma) “dalla speciale rilevanza del negozio” (“aus der besonderen Bedeutsamkeit des Geschäfts”) [11]; iii) ha di conseguenza affermato che il Vertragspartner non fa salvo il suo [continua ..]


3. L’ordinamento italiano: il problema delle competenze

Dal canto suo, la giurisprudenza italiana che ha preso in considerazione casi di trasferimento dell’azienda di s.r.l. senza un controllo preventivo dei soci non ha esitato a inquadrare gli atti traslativi della totalità degli asset della società nel novero delle operazioni comportanti una sostanziale modificazione del suo “oggetto” (o una rilevante modifica dei diritti dei soci), previste dall’art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c. e assoggettate ad una riserva (di competenza, o se non altro a una riserva) di approvazione in favore dell’assemblea [17]. Peraltro, se la giurisprudenza tedesca è stata chiamata a vagliare l’ipotesi di un innesto della regola di diritto azionario sul terreno della s.r.l., nel nostro ordinamento sussiste un problema in certa misura opposto (sebbene privo, allo stato, di significativi riscontri giudiziali [18]), che riguarda – se mai – il grado di completezza (o tipicità) del catalogo di competenze esplicite (o scritte) dell’assemblea di società per azioni [19]. In altre parole, nell’ordinamento italiano le parti del problema ad una prima impressione appaiono rovesciate, trattandosi di verificare se l’organizzazione dei poteri che contraddistingue l’impresa azionaria sia permeabile ad una regola – dettata espressamente per la s.r.l. – che identifica in astratto una serie di operazioni di carattere supergestorio, le sottrae al potere di decisione (autonomo ed esclusivo) degli amministratori e le rimette all’assemblea appunto perché idonee ad impattare in maniera qualificata su profili essenziali dell’investimento [20]: sia dell’investimento globale o “collettivo” – ed è il caso delle decisioni suscettibili di alterare in fatto l’oggetto sociale – sia dell’investimento “individuale” (ed è il caso delle decisioni idonee ad incidere sul contenuto e sulle modalità di realizzazione dei diritti sociali). Peraltro – è quasi superfluo ricordarlo – un’inclusione delle decisioni di natura supergestoria nel catalogo delle competenze dell’assemblea di s.p.a. è stata da più parti prospettata senza neppure il bisogno di “spinte eteronome” ma già soltanto per via di autointegrazione, grazie cioè alla [continua ..]


4.1. Il caso della s.r.l.: la specificità della cessione di asset strategici nell’àm­bito delle regole di competenza

In primo luogo, con riguardo alla s.r.l., non sembra affatto scontata l’inclusione del trasferimento d’azienda nelle maglie dell’art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c. La norma, dal canto suo, seleziona – allo scopo di assimilarle alle modificazioni statutarie – una serie di operazioni identificate per il peculiare effetto che producono. In alternativa: i) l’effetto di modificare la “destinazione” produttiva alla quale il patrimonio della società è (e continua ad essere, seppure solo formalmente) asservito [31]: e, sotto questo profilo, l’art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c. esprime in positivo la stessa regola che per la s.p.a. trova la sua collocazione (e una “resa testuale” diversa e “negativa”) all’art. 2361, 1° comma, c.c. [32]; oppure ii) l’effetto di alterare in modo rilevante la portata concreta dei diritti dei soci (il loro contenuto, la loro “utilità”, il contesto e le modalità di esercizio), dei diritti – si intende – disciplinati dall’atto costitutivo, se non proprio dei Vorrechte attribuiti a titolo particolare a singoli soci [33]. Ora, un simile risultato di alterazione in fatto delle basi dell’investimento (oggetto sociale e diritti dei soci) non necessariamente consegue alla cessione dell’azienda o di elementi del patrimonio dal valore strategico. Per un verso, la vicenda non integra in sé una modificazione sostanziale dell’oggetto della società [34]: ed anzi nulla esclude che al trasferimento dell’azienda faccia seguito un nuovo investimento diretto a ricostruire un apparato produttivo al servizio della medesima attività economica prevista in via statutaria [35]. Per altro verso, l’operazione neppure integra una necessaria modifica dei diritti dei soci, non – perlomeno – dei diritti presi in considerazione dall’art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c., nella cui prospettiva il fenomeno della cessione di azienda (o di singoli asset strategici) viene in rilievo essenzialmente per la sua idoneità ad impattare su (eventuali) prerogative patrimoniali o [continua ..]


4.2. (Segue): la società per azioni e la competenza non scritta dell’assemblea su operazioni supergestorie: i limiti di una razionalizzazione del problema in chiave di competenze

La teoria della competenza dell’assemblea per le decisioni di alienazione dell’azienda e più in generale per decisioni che toccano direttamente il cuore (o il “nocciolo” [38]) dell’attività e dell’investimento rappresenta la trascrizione in termini normativi di un’intuizione “primordiale” [39]. Della quale – a ben vedere – è traccia in tutti i campi dell’esperienza che distinguono due forme di esercizio del potere: un potere costituente, tendenzialmente libero nel disciplinare una determinata sfera di interessi, e un potere costituito, che regola la stessa sfera di interessi ma in modo funzionale, vincolato – cioè – all’attuazione degli scopi tracciati dal primo [40]. Nello specifico campo di esperienza della governance di società di capitali, una simile intuizione consente di intravvedere, al fondo di una vendita integrale dell’azienda, l’esercizio di un potere di disposizione che travalica i limiti di una gestione funzionale, vincolata [41]. Ed è proprio l’attrazione della vicenda alla sfera di esercizio di un potere costituente – in ragione della sua aderenza al Kernbereich dell’attività programmata dai soci – che spinge la dottrina a costruire una competenza deliberativa dell’organo assembleare [42]: l’organo che, del resto, è istituzionalmente libero di ridefinire nel tempo il perimetro di attività economica – nel cui àmbito è destinato a svolgersi il potere “costituito” degli amministratori – e di decidere lo scioglimento anticipato, come pure di non rimediare (mediante le “opportune modifiche statutarie”) all’impossibilità sopravvenuta di conseguire l’oggetto sociale (art. 2484, 1° comma, n. 2, c.c.). Sembra allora chiaro che una competenza dell’assemblea a decidere la cessione dell’azienda nasca soltanto in negativo, per sottrazione – cioè – dalla parallela sfera di competenza degli amministratori di una serie di decisioni che, non ratione materiae ma soltanto per l’effetto che producono su profili intuitivamente [continua ..]


5.1. La tutela dei soci contro il trasferimento di asset strategici: la reazione ad un’interversione del possesso idonea ad alterare le condizioni di rischio dell’in­vestimento

Se questo è vero, ne discende che nel contesto preso in considerazione un interesse dei soci sugli asset strategici al servizio della “propria” impresa “nasce” e reclama protezione nel momento stesso in cui è violato da una condotta di segno contrario degli amministratori. Si tratta, a ben vedere, dell’interesse a conservare uno stato di fatto (la destinazione di quel complesso produttivo – esattamente quello – agli scopi dell’attività comune) contro alterazioni impresse dagli amministratori mediante l’esercizio di un potere che, in quelle circostanze (se per ipotesi il compendio o i singoli asset ceduti appaiono oggettivamente infungibili in rapporto agli obiettivi di investimento dei soci [56]), assume lo stesso significato pratico di un potere costituente. E non è un caso che proprio alle condizioni “economiche” (o “di rischio”) dell’investimento si riferisca l’art. 2497-quater, 1° comma, c.c. nell’attribuire al socio di società eterodiretta il rimedio conservativo per eccellenza, e cioè il diritto di recesso, al ricorrere di specifici “fattori ambientali” quali la stessa Konzernbildung o Konzernlösung e l’alterazione dell’oggetto o dello scopo della società che “gestisce” il gruppo [57]. Esercitare il recesso, nelle ipotesi evocate, significa essenzialmente ciò: reagire ad una “molestia esterna”, ad una rilevante “turbativa” allo stato di fatto dell’investimento [58]; investimento che viene pertanto smobilizzato prima che possa scontare l’incidenza dello specifico fattore ambientale idoneo a compromettere le aspettative originarie di redditività e di valore [59]. In termini assiologici, si può persino affermare che il recesso costituisca – nella prospettiva appena segnalata – la traduzione societaria e stragiudiziale di un’azione di manutenzione del possesso (inteso quale ius possessionis su un investimento particolarmente “esposto”). Alla stregua di [continua ..]


5.2. (Segue): profili processuali e scientia spolii del terzo acquirente

Se si accetta di qualificare in termini di ius possessionis (il “diritto” o meglio) l’interesse della società e dei suoi soci violato dal comportamento degli amministratori [62] e se si prescinde dalla necessità di conferire un titolo – mediante la costruzione di una competenza deliberativa “non scritta” – ad un siffatto potere di controllo dei soci sugli asset strategici dell’impresa [63], potrebbe risultare non del tutto peregrina l’idea di rimediare all’ipotizzata lesione possessoria nelle forme regolate dagli artt. 1168 e 1169 c.c. e dagli artt. 703 ss. c.p.c. Con la precisazione che nello specifico caso riguardato l’azione di reintegrazione ha senso esclusivamente nei confronti del terzo acquirente (non invece nei confronti degli amministratori, quali autori del lamentato spoglio). In effetti: a) se i soci apprendono per tempo la decisione degli amministratori di alienare asset strategici al terzo, non c’è spazio per la tutela possessoria. E la ragione è semplice: un simile “salto di qualità” nel comportamento degli amministratori e nel loro modo di relazionarsi ai fattori produttivi (il salto da potere costituito a potere costituente) trova già sanzione nei rimedi specifici del diritto societario, dalla revoca per giusta causa (seguita dalla nomina di nuovi amministratori che recedano dalle trattative con il terzo) all’impugnazione della decisione perché lesiva dei diritti dei soci (art. 2388, 4° comma, c.c. [64]) [65]. Il che acquista significato soprattutto in caso di inerzia della maggioranza – che ben potrebbe risultare “allineata” all’operato degli amministratori e consentirne la permanenza in carica – o comunque al ricorrere di situazioni di dead-lock che non consentano alla compagine sociale di adottare contromisure in maniera compatta e coesa; b) viceversa, a operazione già conclusa, il problema si sposta integralmente sul piano dei rapporti tra la società e il terzo (fermi restando i tipici “rimedi interni” nei confronti degli amministratori). E qui sì che è plausibile una tutela possessoria contro [continua ..]


6. Cessione di asset strategici e limiti legali al potere di rappresentanza

Del resto, se si volge lo sguardo al profilo esterno della vicenda e si vaglia più attentamente la diffusa tendenza ad offrirne una lettura in chiave “petitoria”, non è difficile notare che la tesi della opponibilità ai terzi di un preteso limite legale al potere di chi cede asset strategici (senza la previa decisione o autorizzazione dei soci) costituisce il frutto di un overstatement della disciplina della rappresentanza organica. E ciò vale per tutte le società di capitali, non solo per la s.p.a. ma anche per la s.r.l.: né il risultato sarebbe destinato a mutare in quest’ultima se pure si ipotizzasse – sulla scorta dell’unanime giurisprudenza – una competenza esplicita dell’as­semblea a deliberare la cessione dell’azienda in forza dell’art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c. Al riguardo, in termini generali, occorre precisare che: a) l’aggiramento di una competenza dell’assemblea ad opera degli amministratori non può ritenersi coperto dal precetto che conferisce alla rappresentanza organica di società di capitali un’estensione generale [70]. O meglio: è coperto dal precetto se si tratta di competenza derogabile; non è coperto se la competenza ha carattere di necessità e di inderogabilità; b) invero, l’attributo “generale” previsto dagli artt. 2384, 1° comma, e 2475-bis, 1° comma, c.c. va interpretato in aderenza alla regola di diritto europeo (art. 9, par. 1, Direttiva EU 2017/1132) che non consente alla società difese di sorta contro il terzo acquirente salvo che l’atto esprima sul piano esterno un potere decisorio (interno) non attribuito né attribuibile al titolare della rappresentanza. Un potere cioè – così va intesa la norma europea – che l’ordinamento societario del singolo Stato Membro non attribuirebbe né consentirebbe di attribuire (“allows to confer”) al rappresentante, nemmeno se questi fosse l’amministratore delegato della società (ovvero un soggetto che cumula su di sé poteri di firma e poteri di decisione); c) nell’ottica della disciplina europea, ciò che [continua ..]


7. L’ipotesi di una ratifica del negozio di cessione

In quest’ottica, non è forse inutile osservare che un analogo approccio “rimediale” viene in rilievo nelle società di capitali in riferimento agli atti cosiddetti ultra vires. È noto infatti che, all’esito della riforma attuata con d.lgs. n. 6/2003 e con l’abrogazione dell’art. 2384-bis c.c., gli atti estranei all’attività economica della società la vincolano al pari di ogni altro atto: la buona fede del terzo sulla pertinenza all’oggetto sociale non viene elevata a fatto costitutivo della sua pretesa, né la mala fede a fatto impeditivo. Resta salva – almeno secondo l’opinione preferibile – la facoltà per la società di rifiutare l’esecuzione del negozio (o, se già eseguito, di esercitare i corrispondenti rimedi ripristinatori o risarcitori) mediante la non semplice prova dell’abuso del terzo. Prova, questa, che viene spesso “agganciata” dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla medesima eccezione di dolo spendibile dalla società contro violazioni di limiti statutari ai poteri degli amministratori (artt. 2384, 2° comma, e 2475-bis, 2° comma, c.c.) [84]. Ora, la rinuncia a fissare a monte condizioni di efficacia dell’atto “misurate” sull’oggetto sociale e la tendenza a spostare il problema a valle e a far dipendere la soluzione dallo stato psicologico del terzo acquirente (e dalla circostanza che questi abbia o meno “chiuso gli occhi” di fronte all’abuso del rappresentante) cristallizzano un approccio del legislatore al problema dei negozi ultra vires non così lontano dallo schema adottato dal BGH per la cessione non autorizzata dell’azienda di s.r.l. Anche qui, in altri termini, il problema non è chi sia legittimato a esercitare un potere “costituente” (ché – in definitiva – travalicare l’oggetto sociale significa debordare dai confini di un potere costituito); al contrario, l’attenzione si sposta interamente sul fatto – la violazione comportamentale – e sulle contromisure spendibili dalla società. Sotto questo profilo, la diffusa [continua ..]


8. Il fondamento anti-istituzionalistico della competenza non scritta dell’as­semblea sulla cessione di asset strategici. Cessione non autorizzata e reazione legittima a situazioni di dead-lock

 Sia consentita una breve notazione conclusiva. Si è detto che la teoria della competenza non scritta dell’assemblea a decidere l’alienazione di asset strategici nasce da un’intuizione “primordiale”: il fatto di scorgere al fondo della vicenda l’esercizio di un potere (in senso lato) costituente e il fatto, allora, di sottrarre agli amministratori – titolari di un potere (sì autonomo ma pur sempre) “costituito” – facoltà dispositive che toccano il Kernbereich dell’attività comune. A ben vedere, però, una simile teoria fa affidamento su un preciso background culturale, di stampo contrattualistico e anti-istituzionalistico, che radica nella collettività dei soci il “referente teleologico” delle scelte gestorie degli amministratori [86]. In effetti, ipotizzata una deliberazione negativa dell’assemblea sulla proposta di trasferimento a terzi di asset strategici della società, nessun amministratore impugnerebbe mai la deliberazione (ostativa alla cessione) perché contraria all’interesse sociale. Ad esempio perché contraria all’interesse dei lavoratori che dipendono dalla società o dei fornitori e dei finanziatori che ne alimentano l’attività. Il che è corretto: con la consapevolezza, però, che una simile risposta dell’ordinamento non ha carattere di assolutezza. Al contrario, è una risposta giustificata da una precisa ideologia dell’impresa, che identifica l’interesse sociale in un “interesse di gruppo” (e non “di serie”) e che avverte un “primordiale” fastidio verso ogni ingerenza di interessi (in senso lato) pubblici su un’attività innervata da logiche privatistiche [87]. In altre parole, è una risposta che “sta dentro la storia” e che risente di una specifica Überbau o – per dirla con Thomas Kuhn – di uno specifico “paradigma culturale”. Nulla esclude allora che un domani, mutato per ipotesi il background e rovesciata in senso istituzionalistico la concezione dell’impresa e [continua ..]


NOTE