TRIBUNALE DI NAPOLI (decr.), 8 febbraio 2012 – Di Nosse Presidente – De Matteis Relatore – Grimaldi E. (avv. Di Nanni)
Registro delle Imprese – Atti soggetti ad iscrizione – Controllo – Contenuto – Limiti
(Artt. 2189 comma 2, 2436 comma 2 c.c.; legge 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8; d.p.r. 7 dicembre 1995, n. 581, art. 11, comma 6).
I poteri del conservatore e del giudice del registro delle imprese sono limitati, ex art. 2436 comma 2 c.c., al controllo di legittimità formale dell’atto della cui iscrizione si tratta, con esclusione dell’indagine sulla legittimità sostanziale, salvo che la radicale illiceità dell’atto finisca per metterne in discussione la riconducibilità al “tipo” giuridico di atto iscrivibile. (1)
Società – Trasformazione di società in accomandita semplice – Iscrizione nel registro delle imprese – Stabilizzazione effetti – Rimedi obbligatori
(Artt. 2191, 2500, 2500-bis, 2500-ter c.c.).
L’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di trasformazione di una società in accomandita semplice in società a responsabilità limitata preclude al socio accomandatario la possibilità di impugnare la decisione di trasformazione, né tale risultato è raggiungibile attraverso il rimedio della cancellazione ai sensi dell’art. 2191 c.c., a ciò ostando la stabilizzazione degli effetti derivanti dalla prescritta pubblicità dell’atto di trasformazione di cui all’art. 2500-bis c.c. Pertanto, anche in presenza di gravi anomalie procedimentali e sostanziali, il socio accomandatario potrà agire in giudizio esclusivamente per ottenere il ristoro dei danni subiti. (2)
Società – Società di persone – Trasformazione – Società costituita ante riforma – Ammissibilità
(Art. 2500-ter c.c.)
L’art. 2500 ter c.c., in mancanza di norme transitorie o di attuazione di segno contrario, è applicabile non solo alle trasformazioni di società costituite successivamente al 1° gennaio 2004, ma anche alle decisioni di trasformazione assunte dai soci di società di persone costituite prima di tale data. (3)
IL TRIBUNALE DI NAPOLI
-Sezione Fallimentare-
riunito in camera di consiglio in
persona dei seguenti magistrati:
1) dott. Lucio Di Nosse Presidente
2) dott. Eduardo Campese Giudice
3) dott. Stanislao De Matteis Giudice rel. ed est.
Sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 08.02.2012 e preso atto della notificazione del reclamo all’ufficio del registro delle imprese;
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Nel procedimento n. 7556/2011 V.G. ad istanza di Elvira Grimaldi, rapp.ta e difesa, per procura a margine del ricorso, dall’avv. Carlo Di Nanni, presso il quale elettivamente domicilia in Napoli, via P. Colletta, n. 35;
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
In data 24.01.2011, Elvira Grimaldi ha chiesto al giudice del registro delle imprese di ordinare la cancellazione della iscrizione effettuata in virtù dell’atto pubblico per notaio Capuano del 13.12.2010 con cui i soci della Immobiliare Capricorno S.a.s. di Giovanni ed Elvira Grimaldi decisero di trasformare la s.a.s. in una s.r.l. denominata Immobiliare Capricorno S.r.l.
Il giudice del registro delle imprese, con decreto del 24.10.2011, ha rigettato l’istanza della Grimaldi assumendo che quello demandato al conservatore del registro delle imprese e conseguentemente al giudice del registro, è un controllo di tipicità formale e quindi, di mera corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere a quello previsto dalla legge.
Avverso tale provvedimento, Elvira Grimaldi proponeva al tribunale reclamo ai sensi dell’art. 2192 c.c. con ricorso depositato il 22.11.2011 sostenendo, viceversa, che il controllo da effettuarsi in sede di iscrizione deve coinvolgere la legittimità sostanziale dell’atto.
Su questa prima questione il tribunale è chiamato a pronunciarsi, essendo evidente che, se dovesse condividersi la tesi del giudice del registro delle imprese (di recente fatta propria da Trib. Taranto 21.09.2009, in Riv. Notariato, 2009, 1575), il reclamo non potrebbe che essere rigettato essendovi prima facie corrispondenza tipologica tra l’atto iscritto e quelli previsti dalla legge.
Si pone a questo punto il problema dell’ambito dei poteri di controllo assegnati al giudice del registro delle imprese.
L’art. 32 della l. n. 340/2000 obbliga il conservatore del registro delle imprese, sia nel caso in cui la pubblicità riguardi un atto costitutivo, sia che riguardi le deliberazioni di modifica del capitale sociale, a procedere all’iscrizione, previa verifica della regolarità formale della documentazione presentata, escludendo così un controllo sostanziale dell’ufficio del registro delle imprese (cfr. Trib. Como, 31.01.2000, in Società, 2000, 858).
In assenza di una norma corrispondente all’art. 32 sopra citato, ritiene la difesa della Grimaldi che tale limitazione non possa essere estesa al giudice del registro delle imprese, tenuto conto del tenore dell’art. 2191 c.c. che consente al giudice di procedere alla cancellazione d’ufficio, laddove si sia proceduto all’iscrizione in assenza delle condizioni previste dalla legge (v. in tal senso Trib. Sassari, 10.04.1997, in Società, 1997, 1080 secondo cui l’attività di controllo del giudice del registro non è limitata all’accertamento della sola legittimità formale, ma è estesa anche alla legittimità sostanziale dell’atto, rientrando essa nell’ambito della c.d. volontaria giurisdizione; cfr. anche, in tema di cancellazione per motivi sostanziali Trib. Milano, 14.05.2002, in Giur. It., 2002, 1655).
Tale conclusione, a dire della reclamante, sarebbe ancora più corretta dopo l’eliminazione del controllo omologatorio antecedente, atteso che non vi è più alcun problema di interferenza tra poteri giudiziari, ovvero tra il tribunale che omologava la delibera ed il giudice del registro, organo monocratico, che poteva decidere l’eventuale cancellazione.
Il tribunale condivide l’opinione dominante in dottrina secondo cui i poteri del conservatore e del giudice del registro delle imprese sono limitati ex art. 2436, comma 2, c.c. al controllo di legittimità formale dell’atto della cui iscrizione si tratta.
La conclusione, del resto, appare saldamente ancorata al dettato degli artt. 2189, comma 2, c.c. e 11, comma 6, lett. a) – e), d.p.r. 07.12.1995 n. 581, attuativo dell’art. 8 della l. 23.12. 1993, n. 580.
Si avrà, così, un controllo limitato alla verifica delle condizioni formali prescritte dalla legge per quell’atto (verifica della competenza dell’ufficio, provenienza e certezza giuridica delle sottoscrizioni, riconducibilità dell’atto iscrivendo al tipo giuridico previsto dalla legge, legittimazione alla presentazione dell’istanza di iscrizione, etc.), con esclusione, almeno tendenziale, dell’indagine sulla legittimità sostanziale, salvo che la radicale illiceità contenutista finisca addirittura per metterne in discussione la riconducibilità al “tipo” giuridico di atto iscrivibile.
Giova, a questo riguardo, precisare che il concreto ambito di operatività del controllo cui è chiamato il giudice del registro non è indifferente al tipo di atto che venga in rilievo.
Nel caso di specie, deduce la reclamante che l’atto redatto il 13.12.2010 dal notaio Capuano, successivamente iscritto nel registro delle imprese, sia un atto affetto da inesistenza giuridica ed in ogni caso da nullità.
In astratto occorrerebbe verificare se effettivamente il suddetto atto del 13.12.2010 sia riconducibile al tipo giuridico previsto dalla legge oppure no in considerazione dei radicali vizi da cui è assertivamente affetto.
In concreto non è, però, possibile in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese (come nella specie) dell’atto di trasformazione di una società in accomandita semplice in società a responsabilità limitata preclude al socio accomandatario la possibilità di impugnare la decisione di trasformazione, né tale risultato è raggiungibile attraverso il rimedio della cancellazione a termini dell’art. 2191 c.c. a ciò ostando la stabilizzazione degli effetti derivanti dalla prescritta pubblicità dell’atto di trasformazione di cui all’art. 2500 bis c.c.
Pertanto, anche in presenza di gravi anomalie procedimentali e sostanziali, il socio accomandatario potrà agire in giudizio esclusivamente per ottenere il ristoro dei danni subiti (cfr. Trib. Messina, 03.08.2007, in Vita notarile, 2007, 1105).
Per la trasformazione di una s.a.s. in s.r.l. e per l’effetto sanante della pubblicità dell’atto di trasformazione si veda anche Trib. Agrigento, 04.11.2004, in Giur. Comm., 2007, II, 223, secondo cui “per quanto si possa sostenere fondatamente che la decisione di alcuni soci di trasformare la società da s.a.s. in s.r.l. sia nulla, perché presa a maggioranza in una materia strettamente rimessa all’unanimità dei consensi e che l’omologazione dell’atto da parte del notaio rogante sia stata illecitamente conseguita, sta di fatto che l’iscrizione del negozio presso il registro delle imprese, pur nullo, è intervenuto oramai da mesi. Da quel momento la legge inibisce ogni pronuncia di invalidità dell’atto in parola lasciando ogni discussione aperta solo sul piano risarcitorio di chi sia stato leso”; nello stesso senso v. Trib. Catania, 21.07.2006, in Giur. Comm., 2008, II, 1015, secondo cui “ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., l’invalidità della delibera di trasformazione non può essere pronunciata dopo l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese; pertanto è inammissibile la richiesta di una sospensione “ante causam” della sua efficacia dopo che siano stati eseguiti gli adempimenti pubblicitari”).
Ugualmente deve dirsi – per certi versi – con riguardo alla cancellazione dell’atto costitutivo iscritto che pure presenti una causa di nullità
La soluzione trova ora fondamento, pure a seguito della sostanziale soppressione dell’omologazione, nella constatazione per cui nell’esercizio dei poteri di vigilanza attribuitigli dall’ordinamento il giudice deve tenere conto dei limiti posti dall’art. 2332 c.c. il quale, come è noto, impedisce che dopo l’iscrizione dell’atto costitutivo e la conseguente nascita della società ne sia dichiarata la nullità, eccetto che per talune cause espressamente e tassativamente indicate.
Questa norma, come impediva al tribunale la revoca della relativa omologazione, impedisce al giudice del registro la cancellazione dei predetti atti costitutivi; essa consente solo la promozione di un’azione diretta all’accertamento della nullità in dipendenza delle cause espressamente indicate e al conseguente scioglimento della società stessa.
Ne discende che, anche in presenza di una delle cause di nullità, alle quali l’iscrizione non impedisce di produrre la nullità della società, il giudice del registro non può d’ufficio e con il procedimento prescritto dall’art. 2191 c.c. disporre la cancellazione dell’atto costitutivo (v. Trib. Catania, 31.03.2005, in Giur. Comm., 2006, II, 483).
Nel merito, osserva il collegio, che a dire della Grimaldi, la delibera del 13.12.2010 con cui i soci della s.a.s. Immobiliare Capricorno hanno deciso la trasformazione in s.r.l. è affetta da un macroscopico vizio (tale da escluderne la corrispondenza tipologica) perché assunta a maggioranza e non all’unanimità.
Dispone il comma 1 dell’art. 2500 ter c.c. che “Salvo diversa disposizione del contratto sociale, la trasformazione di società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili; in ogni caso al socio che non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso”.
Con riguardo all’applicazione della regola della maggioranza alla trasformazione, la reclamante richiama la giurisprudenza secondo cui la trasformazione a maggioranza di una società di persone in forza dell’art. 2500 ter, introdotto dal d.lgs. n. 6/2003, costituita antecedentemente alla riforma, in società a responsabilità limitata, non è consentita qualora il rimando generale presente nello statuto alla normativa vigente sia interpretabile nel senso dell’applicabilità della disciplina vigente al momento della stipulazione del contratto sociale, con il conseguente recepimento all’interno del contenuto del negozio sociale del principio unanimistico contemplato dall’art. 2252 c.c. per il quale il contratto sociale è modificabile solo con il consenso dei soci, se non è convenuto diversamente, restando pattiziamente derogato l’art. 2500 ter (Trib. Roma, 21.07.2006, in Riv. Dir. Comm., 2006, 96).
Richiama ancora quella giurisprudenza che, quanto all’efficacia temporale della norma, ritiene che la disposizione dell’art. 2500 ter, secondo cui la trasformazione delle società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la partecipazione agli utili, non ha efficacia retroattiva e si applica pertanto alle sole società di persone costituite dopo l’entrata in vigore della riforma del diritto societario (Trib. Reggio Emilia 13.01.2006, in Riv. Notariato, 2006, 1603).
Gli argomenti, per quanto suggestivi, non colgono nel segno.
Ed infatti, la possibilità, che, salvo diversa disposizione del contratto sociale (non sussistente nel caso di specie), la trasformazione di una società di persone in società di capitali avvenga non all’unanimità, ma con il consenso della maggioranza dei soci è oggi testualmente prevista dall’art. 2500 ter c.c.
Nessuna norma riserva la nuova disciplina della trasformazione alle sole società costituite successivamente all’01.01.2004 ed in assenza di una diversa previsione legislativa è senz’altro più consono alla lettera e alla logica della legge applicare ratione temporis la disciplina della trasformazione in vigore non già alla data di costituzione della società, bensì a quella di realizzazione e venuta ad efficacia della trasformazione medesima (conf. App. Torino, 20.01.2010, in Riv. Notariato, 2011, 907; nello stesso senso, v. anche Trib. Roma 02.05.2006, in Riv. Not., 2007, 188 e, Trib. Milano, 11.12.2004, in Riv. Notariato, 2005, 1115).
In senso contrario all’opinione esposta, pienamente condivisa dal collegio, deduce la reclamante che, indipendentemente dall’applicabilità o meno della regola di maggioranza (si ripete, ora codificata dall’art. 2500 ter c.c.), la circostanza che una decisione di trasformazione di una società in accomandita semplice in una società a responsabilità limitata sia stata adottata in assenza ed all’insaputa (come nella specie), di uno dei due soci accomandatari, inficia all’origine la decisione dei soci e la rende radicalmente inefficace.
Nel senso indicato dalla Grimaldi si è espresso Trib. Roma 21.07.2006 (in Riv. Dir. Comm., 2006, II, 103). In senso opposto invece Trib. Roma 02.05.2006 (in Riv. Notariato, 2007 188) e in precedenza Trib. Milano 11.12.2004 (in Riv. Notariato, 2005, 1115), secondo cui la mancata convocazione del socio accomandatario presso il notaio nel giorno in cui i soci accomandanti hanno deciso la trasformazione in s.r.l. è irrilevante, non avendo la volontà contraria dell’accomandatario alcun effetto impeditivo della validità della trasformazione.
Al riguardo occorre, comunque, ribadire che è la previsione dell’art. 2500-bis c.c. ad opporsi alla deduzione della reclamante (v. supra Trib. Messina 03.08.2007, in Vita notarile, 2007, 1105) non potendo l’interpretazione letterale della norma essere disattesa neppure nelle ipotesi di irregolarità più gravi ed eclatanti di quella denunciata dalla reclamante, come in mancanza del consenso del socio destinato ad assumere la responsabilità illimitata in sede di trasformazione c.d. regressiva.
E qui occorre confermare il suesposto principio fatto proprio dalla giurisprudenza a proposito dell’estensione della disciplina di cui all’art. 2504 quater c.c. ad ogni vizio del procedimento di fusione (Trib. Perugia, 26.04.1993, in Riv. Dir. Comm., 1995, II, 349; Trib. Velletri, 10.08.1994, in Società, 1995, 551; Trib. Roma, 23.09.1998, ivi 1998, 458; Trib. Milano, 08.09.2003, in Giur. Milanese, 2004, 253; Trib. Milano 13.05.1999, in Giur. It., 1999, 2105; Trib. Milano, 05.03.2009, n. 3014, in Giust. A Milano, 2009, 4, 26).
Tale posizione ha trovato il conforto anche della Suprema Corte secondo cui “la disposizione di cui all’art. 2504 quater cc. richiamata anche per le operazioni di scissione dall’art.2504 novies (oggi art.2506 ter cc.), secondo cui una volta eseguita l’iscrizione dell’atto di fusione delle società, l’invalidità dello stesso non può più essere dichiarata pone una preclusione di carattere assoluto, che riguarda tanto il caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all’atto di fusione, quanto l’ipotesi in cui i vizi concernano il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione; tale preclusione rimane operante anche nel caso in cui si asserisca che l’impugnativa è meramente preordinata ad una futura ed ipotetica azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori o di terzi” (Cass. 20.12.2005, n. 28242, in Società, 2006 1385).
Ovviamente la soluzione non cambia al cospetto del predicato motivo illecito assertivamente comune a Giovanni, Giuseppe ed Angela Amelia Grimaldi .
Peraltro, trattandosi (nella specie) di trasformazione c.d. omogenea (artt. 2500 ter – 2500 sexies c.c.) nemmeno può invocarsi in senso favorevole alla Grimaldi, il differimento di efficacia previsto dall’art. 2500 novies c.c. a proposito delle trasformazioni c.d. eterogenee, e dunque la possibilità riconosciuta da taluna dottrina dell’ammissibilità della cancellazione dell’iscrizione della trasformazione eterogenea fino al momento in cui essa non abbia prodotto i suoi effetti.
Quanto, infine, alla postulata inesistenza dell’atto iscritto stante il mancato rispetto della fattispecie procedimentale delineata a pag. 24 del reclamo deve ribadirsi che la preclusione assoluta posta dall’art. 2500 bis c.c. abbraccia tutte le ipotesi riguardanti il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione (cfr. Cass. 28242/2005, cit.).
E ciò senza potersi tacere che anche dopo la riforma del 2003, peraltro sulla scorta della rubrica degli artt. 2502 e 2503 c.c. (che utilizza l’espressione “decisione di fusione” proprio con riferimento alle società di persone), la prevalente dottrina, seguita da parte della giurisprudenza (cfr. Trib. Roma 02.05.2006, in Riv. not., 2007, 188;Trib. Milano 11.12.2004, in Riv. not., 2005, 1115), propende per la libertà delle forme nell’adozione delle decisioni dei soci di società di persone (prima della riforma, in questo senso v. Cass. 153/1998 e Cass. 6394/1996, che hanno negato la necessità di preventiva convocazione del socio da escludere, affermando la legittimità della relativa delibera adottata in assenza di un contraddittorio. Conf. App. Napoli 14.02.1989, in Dir. Giur., 1991, 688).
In definitiva, l’utilizzo del rimedio della cancellazione di cui all’art. 2191 c.c. non è consentito, posto che l’effettuazione della pubblicità sana ogni vizio dell’iscrizione.
Nulla per le spese stante la mancata costituzione della parte reclamata.
P.Q.M.
– Rigetta il reclamo
– Nulla per le spese
La cancelleria provvederà agli adempimenti di rito.
Napoli, così deciso nella Camera di Consiglio dell’intestato Tribunale in data 08 febbraio 2012.
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1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La dottrina - 5. Il commento - NOTE
In una società in accomandita semplice i soci decidono a maggioranza, secondo quanto disposto dall’art. 2500-ter c.c., la trasformazione in società a responsabilità limitata. Tale decisione viene assunta, pur con la maggioranza prevista dall’art. 2500-ter c.c., in assenza ed in mancanza d’informazione di uno dei due soci accomandatari che pertanto, chiede al giudice del registro delle imprese di ordinare la cancellazione dell’iscrizione, ai sensi dell’art. 2191 c.c. Avverso il decreto con cui il giudice del registro rigetta l’istanza, assumendo che il controllo a lui demandato sia di tipo formale e non di legittimità sostanziale, l’istante propone reclamo al Tribunale sostenendo, viceversa, che il controllo da effettuarsi in sede di iscrizione debba coinvolgere la legittimità sostanziale dell’atto, e che lo stesso sia affetto da un macroscopico vizio, tale da escluderne la corrispondenza tipologica all’atto per il quale la legge prevede l’iscrizione. Il Tribunale è chiamato quindi a pronunciarsi, in primo luogo, sulla delimitazione dei poteri di controllo assegnati al giudice del registro delle imprese. Sul punto, l’orientamento assunto dal Tribunale partenopeo è di riconoscere che tali poteri sono limitati alla verifica delle condizioni formali prescritte dalla legge con esclusione di indagini sulla legittimità sostanziale, salvo che la radicale illiceità contenutistica dell’atto finisca per metterne in discussione la riconducibilità al tipo giuridico di atto iscrivibile. Nel caso in esame, siffatta verifica di corrispondenza tipologica risulta tuttavia preclusa, secondo il Tribunale, dalla stabilizzazione degli effetti di cui all’art. 2500-bisc.c., che non consente di dichiarare l’invalidità della trasformazione una volta che essa sia stata iscritta nel registro delle imprese. La preclusione posta dall’art. 2500-bis c.c. è nella sentenza in commento considerata di carattere assoluto e perciò tale da ricomprendere tutte le irregolarità riguardanti il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione. In questo senso, si ritiene irrilevante la mancata informazione e partecipazione del socio alla decisione di trasformazione, a sostegno della legittimità della quale viene inoltre richiamata la libertà di [continua ..]
Il caso di cui alla sentenza in commento pone in rilievo una triplice normativa di riferimento. La prima è quella che delinea i poteri di controllo dell’ufficio del registro delle imprese che l’art. 2189 c.c. circoscrive all’accertamento dell’«autenticità della sottoscrizione» e del «concorso delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione», cui si aggiungono [1], in virtù dell’art. 11 del regolamento di attuazione della legge istitutiva del registro delle imprese (d.p.r. 7 dicembre 1995 n. 581), la regolarità della compilazione del modello di domanda, la regolarità formale di tutti i documenti dei quali è richiesta la presentazione e la corrispondenza dell’atto o del fatto di cui si richiede l’iscrizione a quello previsto dalla legge. La seconda norma di riferimento è rappresentata dall’art. 2500-bis c.c., con cui la riforma del 2003 ha introdotto il principio di stabilità degli effetti della trasformazione [2] (al pari di quanto previsto in materia di fusione, sull’esempio del legislatore tedesco [3], dall’art. 2504-quater c.c. [4]), in virtù del quale, eseguiti gli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge, l’invalidità dell’atto non può essere più dichiarata, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti all’ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione. La ratio di siffatta stabilizzazione va rinvenuta nell’esigenza di privilegiare la certezza dei rapporti giuridici, nell’ottica di salvaguardare la «funzionalità e certezza dell’attività sociale» indicata dall’art. 4 lett. b) della legge delega n. 366/2001 come criterio base cui la riforma in materia di invalidità delle delibere assembleari si sarebbe dovuta ispirare, unitamente a quello, insito nella stessa previsione dello strumento dell’impugnazione, della tutela dei soci [5]. La terza norma di riferimento del caso in oggetto costituisce un’altra significativa novità della riforma del 2003. Si tratta della disposizione con la quale, nell’intento di introdurre disposizioni dirette a semplificare e favorire la trasformazione delle società di persone in società di capitali [6], il legislatore ha [continua ..]
L’individuazione dei limiti ai poteri di controllo dell’ufficio del registro delle imprese è stato oggetto di un dibattito giurisprudenziale, che vede tradizionalmente fronteggiarsi un orientamento che ne ammette l’estensione alla verifica della validità sostanziale dell’atto da iscrivere, ed uno opposto secondo cui esso investe esclusivamente l’esistenza dell’atto e la sua legittimità formale [9]. In argomento si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, la quale ha espressamente rilevato che il giudice del registro delle imprese, e quindi l’ufficio sul quale esercita il suo controllo, «è soltanto chiamato a svolgere un controllo esteriore di legalità concernente la gestione di un pubblico registro, stabilito a tutela di interessi generali, che non incide su diritti soggettivi» [10] e che il controllo deve essere «circoscritto alla natura ed alla regolarità formale della deliberazione, a tutela di interessi generali, senza statuire su diritti dei soggetti da essa coinvolti, che restano tutelabili con l’eventuale impugnazione della delibera medesima» [11]. Esiste tuttavia una tesi intermedia secondo cui l’ufficio del registro delle imprese, nell’effettuare il controllo di corrispondenza della fattispecie concreta a quella astratta delineata dal legislatore, potrebbe estendere la propria verifica a profili di validità sostanziale, nel caso in cui la riconducibilità al tipo giuridico di atto iscrivibile sia compromessa dalla radicale illiceità del contenuto dell’atto [12]. L’introduzione di una disciplina espressa in materia di invalidità della trasformazione è andata a colmare una lacuna normativa cui la giurisprudenza non era stata in grado di porre rimedio in via interpretativa [13] ed ha evidenziato una crescente sensibilizzazione verso soluzioni che garantiscano esigenze di salvaguardia dell’azione sociale e di certezza dei traffici giuridici [14]. Da altro punto di vista, all’attenzione della giurisprudenza si è posto il problema di valutare se siffatta stabilizzazione possa trovare applicazione in presenza di anomalie procedimentali [15]. In particolar modo, ciò è avvenuto con riguardo alle trasformazioni di società di persone in società di capitali, ove [continua ..]
Nel dibattito circa l’estensione dei poteri di controllo dell’ufficio del registro delle imprese l’espressione «condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione» di cui all’art. 2189 c.c. non ha mancato di suscitare perplessità tra gli interpreti, i quali si sono chiesti se il controllo debba investire soltanto i profili formali o anche quelli sostanziali e se con riferimento a quest’ultima ipotesi, esso debba riguardare solo la veridicità o anche la validità degli atti soggetti ad iscrizione [18]. È prevalsa in dottrina la tesi che considera tali poteri limitati al controllo di legittimità formale dell’atto della cui iscrizione si tratta [19], fondata sull’assunto per il quale la funzione del registro delle imprese è quella di assicurare la conoscibilità legale degli atti sottoposti ad iscrizione a prescindere da ogni considerazione afferente ad una loro pretesa invalidità, in modo da attuare un sistema di pubblicità completo ed idoneo a portare a conoscenza del pubblico l’organizzazione dell’impresa, le sue vicende e le sue trasformazioni. Si esclude pertanto che l’ufficio del registro delle imprese possa estendere il proprio controllo ad elementi quali la validità dell’atto che si iscrive, oggetto di eventuale azione di impugnazione da parte dei soggetti legittimati a far valere le cause di invalidità dell’atto medesimo. Nel caso in oggetto, a ciò osta la regola della definitività degli effetti della fattispecie trasformativa viziata, disposta dall’art. 2500-bis c.c., che limita al piano risarcitorio la tutela dei soggetti pregiudicati dalla trasformazione. L’introduzione di una disciplina volta a regolare l’invalidità dell’atto di trasformazione sul modello di quella dettata in tema di fusione e scissione non ha mancato di suscitare reazioni contrastanti in dottrina [20] la quale ha, in primo luogo, evidenziato come la trasformazione sia una vicenda societaria in cui non pare sussistere alcuna esigenza di rendere irreversibile un effetto giuridico [21], quale la compenetrazione dei patrimoni delle società che si fondono o la loro definitiva separazione in caso di scissione [22]. In questo senso, le disposizioni in tema di invalidità delle delibere assembleari, [continua ..]
La stabilizzazione degli effetti derivante dalla pubblicità dell’atto di trasformazione rappresenta il punto focale della sentenza in commento in quanto considerata di carattere assoluto e come tale insuscettibile di deroga in considerazione della natura o rilevanza delle irregolarità prospettate. Sebbene nella sentenza in commento si parli di efficacia sanante occorre precisare che la norma di cui all’art. 2500-bis c.c. non è volta a sanare i vizi che inficiano la validità dell’atto, ma a stabilizzarne gli effetti. A tal fine essa statuisce che dalla data di pubblicazione tali vizi non sono più in grado di incidere sulla nuova organizzazione [38], senza che ciò precluda impugnazioni di singole clausole, né accertamenti incidentali d’invalidità qualora sia necessario determinare la sussistenza di un danno risarcibile. È evidente come l’assolutezza della preclusione diventi particolarmente intensa nelle ipotesi di trasformazione omogenea progressiva, ove l’assenza di un differimento di efficacia che consenta di impugnare la decisione prima che venga iscritta, unitamente all’impossibilità di esperire rimedi reali successivamente alla conclusione degli adempimenti pubblicitari e alla scarsa fruibilità di rimedi cautelari ex ante, si combinano con l’adozione del principio maggioritario e l’assenza di meccanismi procedimentali codificati nelle società di persone [39]. Alla luce dell’attuale disciplina, una trasformazione di società di persone in società di capitali decisa e attuata dalla maggioranza anche in assenza e all’oscuro di alcuni soci, potrebbe quindi, nei fatti, rivelarsi pienamente e definitivamente efficace una volta completati i necessari adempimenti pubblicitari. Ciò conduce ad una reviviscenza del tema della collegialità e a domandarsi quindi se la società, ai fini di assumere validamente la decisione, debba porre in essere un momento deliberativo formale e collegiale, traendo dalle norme delle società di capitali le regole procedimentali, ovvero se la decisione resti affidata alle consuete modalità di formazione di volontà delle società di persone. La presunta libertà di forme richiamata dal provvedimento in commento, coerente con una disciplina ove nessuna previsione [continua ..]