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1. Premessa - 2. La pratica inutilizzabilità della tutela reale contro la trasformazione omogenea invalida - 3. Inutilizzabilità della tutela cautelare contro la trasformazione invalida - 4. Mancanza di pregiudizialità fra tutela reale e tutela risarcitoria in caso di trasformazione omogenea - 5. (Segue). Il termine di esercizio dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. - 6. Incongruità derivanti dalla tesi della pregiudizialità fra tutela reale e tutela risarcitoria ex art. 2500-bis c.c. - 7. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2500-bis c.c. - 8. L’applicazione del principio del venire contra factum proprium - 9. Rilevanza della relazione ex art. 2500-sexies al fine di ammettere la pregiudizialità dell'impugnazione? - 10. Il rapporto fra il rimedio invalidatorio e quello risarcitorio in caso di trasformazione eterogenea. L’inefficacia ex art. 2500-nonies c.c. e il termine per impugnare la delibera invalida - 11. (Segue). Pregiudizialità dell’impugnazione rispetto all’azione risarcitoria - 12. Il rapporto fra l’opposizione dei creditori e la tutela risarcitoria. La funzione dell’opposizione alla trasformazione - 13. (Segue). Le incongruenze derivanti dalla tesi dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra opposizione e azione risarcitoria - 14. (Segue). Inapplicabilità del divieto di venire contra factum proprium - 15. La fattispecie fonte della responsabilità risarcitoria - 16. L’interesse tutelato dall’impugnativa delle delibere assembleari - 17. La natura del danno da trasformazione - 18. Individuazione dei danni risarcibili - 19. La quantificazione del danno - 20. I danni da vizi procedimentali - 21. La legittimazione passiva alla richiesta di risarcimento - 22. La legittimazione attiva - 23. Spunti di carattere processuale - NOTE
Il diritto societario riformato disciplina, nel nuovo art. 2500-bis c.c., l’invalidità della trasformazione, che prima del 2003 era stata oggetto di ampio dibattito proprio a causa della mancanza di una norma ad essa espressamente dedicata 1. Il legislatore ha riprodotto nella nuova disposizione, pressoché in modo testuale, quanto prescritto dall’art. 2504-quater c.c. relativamente all’invalidità della fusione (e dall’art. 2506-ter, 5° comma, c.c., per l’invalidità della scissione). Tale scelta normativa si inquadra in un contesto normativo – quello del diritto societario post riforma – caratterizzato dalla sostituzione dei rimedi a carattere reale con quelli aventi natura risarcitoria 2. Nella riflessione che segue si cercheranno di ricostruire le caratteristiche dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. attraverso la comparazione con le altre fattispecie di responsabilità da atto sociale invalido contemplate – sia prima che dopo la riforma – dal nostro ordinamento, con particolare riguardo non solo alla disciplina della fusione e della scissione 3, ma anche all’art. 2377, 4° comma, c.c. 4.
Il primo problema che si intende risolvere riguarda il rapporto intercorrente fra l’azione demolitoria e quella risarcitoria contro la trasformazione invalida. In particolare, occorre stabilire se la domanda di risarcimento del danno possa essere esercitata indipendentemente dalla preventiva proposizione della domanda di annullabilità/nullità 5. A tal fine, un’importante questione preliminare da considerare è l’impossibilità pratica per il socio 6 di impugnare la trasformazione omogeneainvalida, così da evitare “il fatto compiuto ed irreversibile” della sua realizzazione 7. Infatti, l’art. 2500-bis c.c. dispone che la preclusione della pronuncia di invalidità matura “eseguita la pubblicità di cui” all’art. 2500, 2° comma, c.c. Quest’ultimo viene interpretato nel senso che alla decisione di trasformazione si applica – l’art. 2330 c.c. in caso di trasformazione in società di capitali 8; – l’art. 2436 c.c. in caso di trasformazione di società di capitali 9. In pratica, dunque, in caso di trasformazione omogenea da o in società di capitali il notaio è tenuto, entro, rispettivamente, venti o trenta giorni dalla stipulazione dell’atto a verificare la sussistenza delle condizioni prescritte dalla legge per il tipo di trasformazione prescelta e a richiederne l’iscrizione nel registro delle imprese. Ma se tale verifica è stata compiuta preventivamente, la richiesta di iscrizione può avvenire anche il giorno stesso della deliberazione. Dopodiché l’effetto preclusivo della tutela reale si produce, nei casi considerati, con l’iscrizione della domanda ai sensi dell’art. 11, 8° comma, d.p.r. n. 581/2005 10, entro cinque 11 giorni dalla protocollazione 12. D’altronde, la brevità del lasso di tempo intercorrente fra la decisione di trasformazione e l’adempimento pubblicitario richiesto dalla legge dipende dal fatto che da quest’ultimo deriva un effetto positivo per l’ente (sotto forma di intangibilità dell’operazione decisa); dunque è verosimile che si provveda affinché la pubblicità venga adempiuta quanto prima 13. Risulta perciò evidente che, in concreto, non solo è impossibile pervenire [continua ..]
Per quanto appena rilevato, la pronuncia di invalidità della trasformazione risulta condizionata, sul piano pratico, alla concessione di un provvedimento cautelare. Tuttavia, anche il ricorso per ottenere quest’ultimo può risultare spesso tardivo 16. Intanto perché nella trasformazione è assente l’articolazione procedimentale propria dell’operazione di fusione (e scissione), che può senz’altro allungare i tempi entro cui si verifica la preclusione della tutela invalidatoria 17. Inoltre, prima dell’iscrizione 18 risultano assai esigue le concrete possibilità di ottenere un provvedimento di sospensione cautelare ex art. 2378 c.c. 19. Non solo per quanto appena detto sui tempi entro i quali può sopraggiungere la pubblicità “sanante”; ma anche perché tale disposizione prevede che il ricorso per il provvedimento cautelare debba essere depositato contestualmente alla copia dell’atto di citazione, precludendone quindi la proponibilità ante causam 20. Il che ha conseguenze molto rilevanti per i tempi tecnici necessari a redigere la domanda introduttiva del giudizio di merito ed anche perché, una volta notificato l’atto di citazione alla società, gli amministratori della stessa potrebbero affrettarsi ad iscrivere la trasformazione, rendendo vana la richiesta di sospensione cautelare 21. Difficilmente praticabile 22 appare anche il tentativo di impedire una trasformazione invalida, tramite la richiesta di inibire lo svolgimento dell’assemblea, sospendendo l’efficacia del relativo atto di convocazione 23. Per la concessione del rimedio cautelare devono ricorrere i due presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Quanto al primo, nella fattispecie in esame, esso riguarda la fondatezza «delle ragioni allegate a sostegno della domanda di annullamento o dichiarazione di nullità della deliberazione impugnata» 24. Il presupposto così ricostruito non sembra, però, ricorrere rispetto alla convocazione dell’assemblea che deve decidere sulla trasformazione, poiché prima del suo effettivo svolgimento l’assunzione della delibera paventata dal ricorrente costituisce una mera eventualità 25. Per lo stesso motivo non pare ricorrere nemmeno il periculum [continua ..]
Sulla base delle superiori osservazioni si può affrontare il quesito da cui si è partiti. La soluzione preferibile pare essere quella della autonomia della tutela risarcitoria da quella reale: l’esercizio dell’azione ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. non è subordinato all’impugnativa della delibera di trasformazione 29. Si sono già evidenziate le notevoli difficoltà a cui andrebbe incontro il soggetto che volesse impugnare la delibera di trasformazione omogenea o anche soltanto richiederne la sospensione cautelare, a causa della mancanza – per la realizzazione della stessa – di quella articolazione procedimentale caratteristica, invece, delle altre due operazioni straordinarie della fusione e della scissione, per le quali vige una regola analoga all’art. 2500-bis c.c. Perciò quest’ultima previsione risulterebbe irrazionale ove condizionasse la tutela risarcitoria all’onere della tempestiva impugnazione della delibera illegittima. Così opinando, infatti, il diritto al risarcimento del danno non sarebbe affatto salvo 30 nonostante la preclusione della tutela reale. Al contrario, la pratica inutilizzabilità di quest’ultima comporterebbe anche – a causa del rapporto di pregiudizialità – l’impossibilità per il socio di essere tutelato esercitando l’azione risarcitoria. La soluzione qui sostenuta pare quella che meglio si adatta al tenore letterale dell’art. 2500-bis c.c., se confrontato con la disciplina generale della tutela risarcitoria contro le delibere invalide. Si deve infatti considerare che l’art. 2377, 4° comma, c.c. attribuisce la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ai soli soci privi ab origine del potere di impugnazione della delibera 31. Da tale disposizione e dal successivo art. 2378, 2° comma, c.c. si ricava che i soci in possesso della partecipazione di cui al 3° comma dell’art. 2377 c.c. possono domandare il risarcimento del danno cagionato da una delibera invalida esclusivamente quando, nel corso del giudizio di impugnazione, venga meno la partecipazione minima richiesta a tal fine a seguito di un trasferimento di azioni inter vivos 32. Dal combinato disposto delle due norme si desume, dunque, che i soci legittimati ad impugnare la [continua ..]
Dal parallelo con la disciplina delle delibere assembleari invalide si può trarre un ulteriore argomento a favore dell’assenza di pregiudizialità fra l’impugnazione e la domanda risarcitoria contro la trasformazione invalida. Il nuovo art. 2377, 6° comma, c.c. fissa un termine per l’esercizio del diritto al risarcimento del danno identico a quello per l’impugnativa delle delibere invalide che l’abbiano cagionato. Al contrario, niente dispone al riguardo l’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. 36. Tale differenza induce ad applicare un termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria lì prevista diverso da quello ex art. 2377, 6° comma, c.c. Pertanto, all’azione risarcitoria in caso di trasformazione invalida deve ritenersi sottoposta in materia di prescrizione generale applicabile ai rapporti societari di cui all’art. 2949 c.c., piuttosto che al termine prescritto per l’azione di risarcimento del danno da delibera invalida 37. In tal senso depone anche il carattere eccezionale che sembra da attribuire all’art. 2377, 6° comma, in quanto unica norma che sottopone a decadenza il diritto al risarcimento del danno 38. Come tale, la sua applicazione deve essere limitata al caso espressamente previsto. In altri termini, confrontando l’art. 2377, 6° comma, – che prevede, in relazione alle delibere assembleari invalide, un termine di decadenza identico tanto per l’azione risarcitoria quanto per quella invalidatoria – da un lato, e gli artt. 2500 bis, 2504 quater (oltre che 2379 ter), – che non prevedono alcun termine per la domanda di risarcimento, fatta salva nonostante la preclusione dell’impugnazione – dall’altro, si può concludere che la regola generale in caso di invalidità delle operazioni straordinarie è «quella di far salva la tutela risarcitoria anche quando sono decorsi i termini per l’impugnativa» 39. Ma allora quest’ultima sembra assolutamente incompatibile con la tesi che considera l’azione di nullità/annullabilità presupposto giuridico di quella risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. Accoglierlo, infatti, significa, in pratica, estendere al rimedio risarcitorio il termine implicitamente previsto a pena di preclusione per l’esercizio [continua ..]
Subordinando l’esercizio dell’azione risarcitoria a quella di nullità/annullabilità, in sostanza si collega all’adempimento pubblicitario prescritto per la singola ipotesi di trasformazione non solo un’efficacia sanante dei vizi della delibera, ma anche una “capacità scriminante” della responsabilità derivante dalla realizzazione dell’operazione 41. Se la prima conseguenza ha una sua spiegazione – costituente la ratio dell’art. 2500-bis, 1° comma, c.c. 42 – non sembra sussistere alcuna esigenza che imponga la seconda. In senso contrario si è affermato che «l’astratta configurabilità di pretese risarcitorie, in dipendenza di atti deliberativi divenuti inoppugnabili, minaccia gravemente le esigenze di “stabilità” delle vicende societarie che l’imposizione di termini decadenziali persegue, unitamente a quelle di “sicurezza del traffico”», posto che «quest’esigenza di stabilità non può essere interpretata solo in chiave organizzativo-formale, dovendo estendersi alla situazione patrimoniale della società e ai rapporti interni ad essa» 43. Ma la dottrina prevalente si appunta, nell’individuare la ratio dell’art. 2504-quater come dell’analogo art. 2500-bis c.c., sulle esigenze di stabilizzazione del valore organizzativo della fusione e della trasformazione e di tutela dell’affidamento dei terzi rispetto alle modifiche organizzative 44. Tali esigenze non sono menomate da una tutela di tipo risarcitorio; dunque pare mancare la necessità di circoscriverne l’esperibilità entro gli angusti limiti temporali nei quali può essere fatta valere l’invalidità. D’altronde, la tutela risarcitoria non sembra porsi in contrasto con la funzione dell’art. 2500-bis c.c. – sotto il profilo, in particolare, della stabilizzazione degli effetti organizzativi della trasformazione – nemmeno rispetto alla possibile revoca della delibera, a cui la società potrebbe essere indotta dall’esperimento delle domande di indennizzo, se si aderisce alla tesi che dalla preclusione in esame ricava anche l’impossibilità di applicare la previsione ex art. 2377, 8° comma, [continua ..]
Il rapporto di pregiudizialità fra impugnazione e azione risarcitoria pare da escludere anche perché, ora ritenuto esistente, solleverebbe forti dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2500-bis c.c. rispetto al principio di effettività della tutela ricavabile dall’art. 24 Cost. 49. In primo luogo, quest’ultimo risulta violato quando “attraverso una norma di carattere sostanziale si renda eccessivamente difficile l’esercizio del diritto d’azione (come nel caso in cui si stabiliscono termini decadenziali, entro i quali esercitare giudizialmente il diritto, troppo ristretti)” 50. Sotto questo profilo, la tesi della pregiudizialità, precludendo in un termine brevissimo l’esercizio non solo dell’impugnazione ma – se si omette la prima – anche dell’azione risarcitoria, viola l’art. 24 Cost. Da tale disposizione, inoltre, deriva il divieto di “lasciare totalmente prive di protezione situazioni giuridiche soggettive … degne di essere tutelate dall’ordinamento (divieto si riduzione sostanziale della tutela)” 51. La tesi della pregiudizialità dell’impugnativa sembra violare anche quest’ultimo. Infatti, l’azione risarcitoria tutela quello stesso interesse sostanziale del socio, che non può essere protetto ricorrendo all’impugnazione 52. Ma se la preclusione del rimedio reale, che matura in un periodo di tempo tanto breve da renderlo praticamente inutilizzabile, determina anche l’impossibilità di domandare successivamente il risarcimento del danno, l’interesse sostanziale del socio risulta privato di qualsivoglia protezione 53. Infine, l’interpretazione costituzionalmente orientata può fornire un ulteriore argomento contrario alla tesi della subordinazione della azione risarcitoria ex art. 2500-bis c.c. al previo esercizio di quello di invalidità. Legittimati ad esperire quest’ultima sono solo i soci in possesso della partecipazione qualificata ex art. 2377, 3° comma, c.c. 54. Al contrario, i soci che non raggiungano la soglia partecipativa prevista dalla legge sono comunque – cioè a prescindere dalla previsione dell’art. 2500-bis, 1° comma, c.c., ed ai sensi semplicemente dell’art. 2377, 3° comma, c.c. – privi della legittimazione ad [continua ..]
L’esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra l’impugnazione e l’azione risarcitoria viene fondata anche sul divieto di venire contra factum proprium: il mancato esercizio del rimedio invalidatorio contro la delibera 56 costituirebbe un comportamento contradditorio rispetto alla successiva pretesa di ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla stessa 57. Al riguardo, si è rilevato che l’applicazione ad una comportamento di tale principio presuppone un giudizio sulla sua “coerenza o, viceversa, sulla sua contraddizione …, secondo quanto esigibile alla luce dei principi generali dell’ordinamento, e prescindendo dalle regole societarie che appaiono, sotto il profilo in esame, del tutto neutre” 58. Dunque, per verificare l’ammissibilità di un’azione risarcitoria autonoma dalla previa impugnazione della trasformazione occorre valutare 59 se l’esercizio della prima, in mancanza della seconda, violi il principio di correttezza e buona fede 60, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie esaminata 61. In base a queste premesse, non sembra incorrere nella violazione del principio in esame il socio che pretenda il risarcimento del danno ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c., senza aver preventivamente fatto valere l’invalidità della trasformazione, poiché in tal caso il rimedio risarcitorio non serve “a rimettere in pista chi, per propria negligenza, non si sia avvalso tempestivamente della più radicale tutela invalidatoria” 62, ma serve a bilanciare la preclusione pressoché immediata dell’impugnazione della delibera. Non è stigmatizzabile, cioè, in base ad un giudizio di correttezza, l’omissione dell’impugnazione della trasformazione invalida se il socio non ha concrete possibilità di esperire quest’ultima e se il preventivo ricorso al rimedio reale risulta del tutto incapace di tutelare effettivamente l’interesse leso da quell’operazione 63. Al contrario, risulterebbe iniqua una soluzione che negasse la possibilità di agire ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. quando la mancata impugnazione non sia imputabile a colpa del socio, come avviene proprio in caso di trasformazione invalida stante già descritta la inutilizzabilità pratica della [continua ..]
Avvicinando il procedimento di trasformazione c.d. regressiva alla disciplina delle altre operazioni straordinarie, l’art. 2500-sexies c.c. dispone che la relativa delibera deve essere preceduta da una relazione degli amministratori ove si illustrano le motivazioni e gli effetti dell’operazione. Tale relazione deve essere depositata presso la sede sociale nei trenta giorni precedenti l’assemblea, affinché ciascun socio interessato possa prenderne visione ed ottenerne copia. La ratio della prescrizione è di consentire ai soci di “avere piena contezza dell’operazione, anche nelle sue ragioni tecniche, in modo da poter deliberare con maggior ponderazione …” 84. Infatti, la dottrina sottolinea come la relazione debba soffermarsi sugli aspetti economici e gestionali, prima ancora che su quelli giuridici, entrando in maniera dettagliata sulle ragioni che suggeriscono nel caso concreto l’operazione 85. Questo frammento di disciplina della trasformazione omogenea regressiva acquista rilevanza ai fini della questione che si sta esaminando: la pretesa risarcitoria del socio che abbia omesso di impugnare la delibera invalida 86 può essere giudicata come un comportamento contrario alla correttezza endoassociativa solo se il pregiudizio è prevedibile fintanto che il rimedio reale risulta esercitabile materialmente. In caso contrario, il fatto che il socio reagisca al danno quando questo si è realizzato, sebbene successivamente alla preclusione dell’impugnazione, non può essere giudicato un comportamento scorretto, poiché il rimedio risarcitorio non serve in tal caso «a rimettere in pista chi, per propria negligenza, non si sia avvalso tempestivamente della più radicale tutela invalidatoria» 87 al fine di prevenirlo. Esso viene esperito semplicemente quando il pregiudizio è concretamente subito e, dunque, conosciuto dal danneggiato e perciò sorge il suo interesse a reagire contro la trasformazione invalida. Al riguardo, la relazione dell’art. 2500-sexies c.c., relativa agli “effetti” della trasformazione, sembra costituire uno strumento informativo capace proprio di consentire ai soci di valutare prospetticamente le conseguenze negative (e positive) potenzialmente conseguenti all’operazione straordinaria 88. Tuttavia, tale rilievo non [continua ..]
Per ricostruire il rapporto fra il rimedio invalidatorio e quello risarcitorio contro una trasformazione eterogenea viziata occorre domandarsi preliminarmente se l’inefficacia prevista dall’art. 2500-nonies c.c., nonostante l’intervenuta pubblicità dell’atto di trasformazione, impedisca l’applicazione dell’art. 2500-bis c.c., oppure se la preclusione lì contemplata operi fin dal compimento degli adempimenti pubblicitari prescritti dall’art. 2500, 2° comma, c.c. Laddove risulti corretta la prima opzione, non potrebbe essere utilizzata una delle argomentazioni in base alla quale si è esclusa la relazione di pregiudizialità fra impugnazione e risarcimento dei soci in caso di trasformazione omogenea. L’art. 2500-nonies c.c. deroga espressamente la prescrizione dell’art. 2500, 3° co., c.c.; si distingue, quindi, il momento in cui si realizza l’efficacia della trasformazione eterogenea da quello nel quale sono effettuati gli adempimenti pubblicitari previsti nel medesimo art. 2500 c.c. 89. Parte della dottrina sostiene che, poiché l’art. 2500-nonies prevede soltanto l’inapplicabilità del 3° comma dell’art. 2500 c.c. (la trasformazione non ha efficacia a decorrere dalla pubblicità, ma dopo sessanta giorni dalla sua effettuazione); e poiché l’art. 2500-bis c.c. dispone la preclusione della pronuncia di invalidità a decorrere dall’effettuazione della pubblicità ai sensi del 2° comma dell’art. 2500 c.c. (disposizione non derogata dall’art. 2500-nonies c.c.); allora questa preclusione opererebbe senza eccezioni dal momento dell’adempimento pubblicitario prescritto dalla legge anche in caso di trasformazione eterogenea. Quest’opinione, in sostanza, ritiene vietata la pronuncia di invalidità della trasformazione una volta eseguita la pubblicità dell’atto, anche se essa non ne determina l’efficacia 90. La soluzione preferibile, tuttavia, pare essere quella dell’inapplicabilità della preclusione ex art. 2500-bis, 1° comma, c.c., fintantoché non si producano gli effetti della trasformazione 91. Tale conclusione sembra imposta dall’interpretazione teleologica della norma 92: se la sua ratio consiste nel dare stabilità, [continua ..]
Se si condivide quanto appena rilevato, l’argomento della inutilizzabilità pratica dell’impugnazione, su cui si è fondata la conclusione dell’inesistenza di un rapporto di pregiudizialità fra quest’ultima e l’azione risarcitoria nell’ipotesi di trasformazione omogenea non vale per la trasformazione eterogenea. I soli dispongono, infatti del termine, fisso e sufficientemente ampio di sessanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese per impugnare quest’operazione. Occorre, pertanto, verificare l’applicabilità del divieto di venire contra factum proprium. A favore di tale possibilità si può sostenere che l’azione risarcitoria si pone in contraddizione con l’omissione di quella invalidatoria, stante la capacità di quest’ultima di prevenire il danno di cui si chiede successivamente il ristoro. Il rapporto formale di contraddizione non è però presupposto sufficiente per l’applicazione del divieto di venire contra factum proprium. A tal fine è anche necessario che la contraddizione violi il principio di buona fede e correttezza 96. Al proposito, acquista rilievo il disposto dell’art. 2500-sexies c.c. richiamato per le trasformazioni eterogenee di società di capitali dal successivo art. 2500-septies c.c. 97. Il comportamento del socio che, pur non avendo impugnato la delibera di trasformazione, chieda il risarcimento del danno da questa causato pare contrario al dovere di correttezza endoassociative 98 solo se costui ha previsto il pregiudizio derivante dall’operazione 99. La relazione degli amministratori, riguardando anche gli “effetti” della trasformazione, sembra costituire uno strumento informativo capace di consentire ai soci di valutare prospetticamente le conseguenze negative e positive potenzialmente conseguenti ad essa. Pertanto, nell’ipotesi in esame paiono sussistere i presupposti per opporre il divieto di venire contra factum proprium alla pretesa del socio di ottenere il risarcimento di un danno prevedibile e, di conseguenza, evitabile mediante l’impugnazione della delibera. A meno che il socio dimostri l’impossibilità di prevedere il pregiudizio nonostante l’esame della relazione degli amministratori 100.
La questione del rapporto fra tutela risarcitoria e tutela reale si pone, oltre che nei confronti dei soci, anche nei confronti dei creditori, che certamente possono essere compresi entro l’ampia e generica formula utilizzata dall’art. 2500-bis c.c. in merito all’individuazione dei legittimati attivi («partecipanti all’ente trasformato…terzi danneggiati») alla domanda di risarcimento dei danni. Al riguardo, pare opportuno effettuare preliminarmente qualche breve osservazione in merito alla funzione dell’opposizione 101 alla trasformazione eterogenea. Se, infatti, risultasse che quest’ultimo e l’azione risarcitoria (ossia i due strumenti di reazione dei creditori contro la trasformazione) sono funzionalmente differenti, difficilmente potrebbe parlarsi di comportamento contradditorio di coloro che omettano l’una ed esercitino l’altra. In alcune ipotesi l’opposizione alla trasformazione tutela l’interesse dei creditori alla conservazione della garanzia patrimoniale. Così è, intanto, per le trasformazioni eterogenee «connaturate al cambiamento della titolarità del patrimonio», ossia quelle da comunione o da impresa individuale 102 a società e viceversa 103. Una lesione della garanzia patrimoniale può, ancora, verificarsi 104 (e, quindi, essere impedita mediante opposizione) in caso di trasformazione eterogenea progressiva (ossia in società di capitali), quando la stima volta ad accertare il valore effettivo del patrimonio dell’ente trasformando risulti errata 105. Vi sono poi ipotesi di trasformazione eterogenea che effettivamente non incidono sulla consistenza patrimoniale dell’ente, ma sono comunque suscettibili di determinare un pericolo di pregiudizio 106, consistente nella modificazione delle «regole poste a tutela dell’integrità del patrimonio» dell’ente o «della causa dell’attività originaria» o, infine, della «struttura organizzativa» 107- 108.
Ricostruiti i profili funzionali dell’opposizione, è possibile affermare che essa esplica la funzione di prevenire il realizzarsi di una trasformazione eterogenea potenzialmente pregiudizievole per i creditori, impedendone l’efficacia 109. Tale conclusione è confermata anche dal rinvio dell’art. 2500-nonies all’art. 2445, ult. comma, c.c., il quale prevede che il tribunale deve accertare, in relazione all’opposizione, «il pericolo di pregiudizio»; e può disporre il compimento dell’operazione laddove siano prestate idonee garanzie. Evidentemente la prestazione di queste ultime presuppone la necessità di eliminare il pregiudizio potenzialmente derivante dall’operazione. Per questi motivi, il mancato esercizio del rimedio preventivo 110può essere considerato, sotto il profilo della funzione da esso esplicata, un comportamento contraddittorio rispetto alla successiva proposizione dell’azione risarcitoria: quest’ultima è diretta ad eliminare proprio quel pregiudizio, per impedire il verificarsi del quale si sarebbe potuto esperire l’opposizione 111. Tuttavia, considerare l’opposizione quale presupposto giuridico dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. significa estendere ad essa il termine di due mesi di cui all’art. 2500-nonies c.c. 112. Un simile risultato non appare accettabile, intanto perché mancante di una giustificazione da un punto di vista sistematico. Il motivo del breve termine di decadenza entro cui è circoscritto l’esercizio dell’opposizione è da ricercarsi nella subordinazione dell’interesse dei creditori a non veder deteriorate, per iniziativa del debitore, le originarie aspettative di soddisfacimento delle loro pretese rispetto all’esigenza imprenditoriale di realizzare nel modo più efficiente possibile il riassetto organizzativo sulla base del principio di continuità dei rapporti giuridici 113. Si è voluto circoscrivere il lasso di tempo 114 durante il quale la trasformazione è inefficace erga omnes (art. 2500-nonies, 1° co.), in modo da favorire la realizzazione delle scelte organizzative degli enti collettivi 115. Tale ragionamento non può giustificare, però, la sottoposizione dell’azione [continua ..]
La preclusione a chiedere il risarcimento ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. per i creditori che non si siano opposti alla trasformazione eterogenea potrebbe conseguire all’applicazione del divieto di venire contra factum proprium: la mancata opposizione esprimerebbe un’acquiescenza all’operazione 121 che contraddice la successiva pretesa risarcitoria. Per di più, posto che l’ordinamento prevede la possibilità di opporsi ad una trasformazione potenzialmente lesiva, un’interpretazione che riconoscesse ai creditori inerti la facoltà, ad operazione avvenuta, di chiedere il risarcimento del danno verrebbe a ledere l’affidamento, riposto dalla società, nella neutralità della trasformazione per le loro ragioni 122. E nel caso in esame non vale quanto rilevato in merito al rapporto impugnazione-azione risarcitoria dei soci. Infatti, il mezzo di tutela specifico dei creditori a fronte di una trasformazione lesiva dei loro diritti è esperibile entro un termine non abbreviabile da comportamenti di terzi e sufficientemente ampio 123. Ciononostante, l’applicabilità del divieto di venire contra factum proprium suscita molti dubbi. In presenza di determinate circostanze, anche il silenzio può esprimere una volontà in ordine ad una certa situazione 124. Laddove ciò accada è possibile individuare una sleale contraddizione tra inerzia e condotta successiva (Verwirkung) 125. Proprio tale condizione sembra mancare, però, nel caso in esame: è difficile sostenere che all’omissione dell’opposizione da parte dei creditori possa essere attribuito il significato di acquiescenza alla trasformazione lesiva delle loro ragioni 126. L’opposizione – come già notato – è funzionale a prevenire un danno potenziale; mentre si ricorre all’azione risarcitoria quando il pregiudizio si è già realizzato. La mancata opposizione, dunque, può essere dovuta all’ignoranza dei creditori legittimati, ossia alla loro incapacità di formulare quel giudizio prognostico sulla dannosità della trasformazione, che l’attivazione del mezzo di tutela preventivo presuppone 127. Nel caso in esame, l’inerzia del creditore non è, di per sé, espressiva in modo univoco della [continua ..]
L’azione risarcitoria di cui all’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. sembra esperibile unicamente in caso di invalidità della delibera di trasformazione. Essa costituisce, infatti, un rimedio sostitutivo 132 della tutela reale preclusa ex lege, nel senso che esplica la funzione di assicurare la risarcibilità dei danni connessi ad una trasformazione viziata non più suscettibile di essere rimossa. Tale funzione emerge già dal tenore letterale della disposizione che, in relazione alla preclusione assoluta delle pronunce di invalidità della trasformazione, fa salva la tutela risarcitoria. Uno spunto in tal senso proviene anche dalla legge delega n. 366/2001 ove, in merito alle delibere assembleari 133, si attribuiva al legislatore delegato il potere di prevedere «l’eventuale adozione di strumenti di tutela diversi dalla invalidità», dunque sostitutivi di quest’ultima. Quale rimedio sostitutivo dell’impugnazione preclusa ex lege, l’azione ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c., dunque, presuppone l’invalidità della trasformazione 134. A ciò si deve aggiungere che la rubrica dell’art. 2500-bis è chiara nel riferire la disciplina della norma (ivi compreso il 2° comma) all’ipotesi di “invalidità” della trasformazione. A tali osservazioni consegue la necessità di attribuire natura risarcitoria alla responsabilità in esame (a prescindere dal problema – comunque discusso in dottrina – se si tratti di responsabilità contrattuale o aquiliana). La trasformazione, infatti, determina un danno (eventuale) contra ius e non iure in quanto conseguente ad un atto illegittimo perché invalido 135. In base ai principi generali della responsabilità civile, dunque, il soggetto che subisce un pregiudizio di questo tipo non è tenuto a sopportarlo; cosicché il costo dello stesso deve essere traslato su chi lo ha cagionato 136. Deve, pertanto, essere respinta 137 la tesi che qualifica come indennitaria la responsabilità da trasformazione invalida. L’indennizzo costituisce, infatti, una forma di compensazione monetaria della lesione cagionata da un atto legittimo non da un atto antigiuridico 138.
Il 2° comma dell’art. 2500-bis c.c. costituisce una prescrizione dal tenore letterale generico 139. Per ricostruire i caratteri dell’azione lì disciplinata, dunque, pare opportuno attribuire rilievo, nuovamente, alla funzione sostitutiva della tutela invalidatoria da essa esplicata. È essenziale, a tal fine, determinare preliminarmente l’interesse tutelato con l’impugnazione della delibere assembleari. La dottrina prevalente ritiene che l’impugnazione delle delibere assembleari adempia la funzione di difendere l’«interesse ad un contenuto diverso – nel senso di più conveniente per il socio impugnante – da quello che la medesima delibera aveva avuto in seguito alla violazione» della sua disciplina legale e statutaria 140. Il sacrificio di tale interesse individuale del socio connesso al merito della delibera – per effetto dell’adozione del principio maggioritario (che soddisfa l’esigenza di funzionalità della società) – risulta giustificato solo dalla conformità della delibera alla legge e all’atto costitutivo; in caso contrario, invece, diviene rilevante l’interesse personale del socio, legittimandolo ad esperire l’impugnazione. Per poter esercitare tale rimedio, peraltro, la dottrina ritiene non sufficiente invocare una generica pretesa al ripristino della legalità, ma richiede la prova di un pregiudizio (anche, ma non necessariamente) patrimoniale, anche potenziale 141. Inoltre, si afferma che l’impugnazione ha la funzione di evitare non soltanto un pregiudizio diretto al patrimonio del socio, bensì anche lesioni meramente riflesse in quanto incidenti direttamente sulla società. Il che si desume dal combinato disposto di cui agli artt. 2373 e 2377 c.c. 142.
La ricostruzione dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. come strumento di tutela sostitutivo dell’impugnazione risulta rilevante in ordine all’individuazione delle caratteristiche del danno che ne legittima l’esercizio. Si vuol sostenere, infatti, che la riforma non ha lasciato privo di protezione l’interesse precedentemente tutelato con la pronuncia di invalidità della delibera, ma si è limitata soltanto ad individuare una forma di tutela suscettibile di essere conciliata con «l’irregredibilità degli effetti dell’attività organizzativa» 144. Ma allora, stante le caratteristiche – appena sopra individuate – dell’interesse protetto dall’impugnazione della delibera invalida, l’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. deve considerarsi fonte nel nostro ordinamento di un’azione risarcitoria che – eccezionalmente per il diritto societario – consente al singolo socio di ottenere anche il risarcimento individuale di lesioni subite indirettamente, come riflesso del danno direttamente cagionato alla società 145. D’altronde, qualora ci si limitasse ad attribuire alla disposizione in esame il significato di mera clausola generale, avente semplicemente la funzione di rinviare alle azioni risarcitorie già previste dall’ordinamento 146 si incorrerebbe probabilmente in un’interpretazione contraria all’art. 24 Cost. 147. Infatti costituisce principio generale del diritto societario l’impossibilità per il singolo socio di ottenere a vantaggio della propria sfera patrimoniale il risarcimento dei danni c.d. riflessi, ossia direttamente incidenti sul patrimonio sociale 148. Pertanto, le azioni risarcitorie a, cui l’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. per ipotesi farebbe rinvio non consentono al socio, a differenza del rimedio demolitorio (v. prgr. prec.), di ottenere protezione contro i danni meramente riflessi 149. Considerando l’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. come norma di mero rinvio, quindi, si lascerebbe privo di protezione, rispetto a quest’ultimo tipo di pregiudizi patrimoniali, un interesse certamente da qualificare come meritevole di tutela giurisdizionale in base agli indici normativi ricavabili dall’ordinamento (cfr. prgr. prec. e in part. gli artt. 2373 e 2377 [continua ..]
Confrontandolo con il disposto dell’art. 2377, 4° comma, c.c. (che si riferisce ai danni cagionati dalla delibera contraria alla legge o allo statuto), il generico tenore letterale dell’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. sembra ammettere il risarcimento dei danni cagionati non soltanto dall’atto di trasformazione in sé, ma anche dalla sua esecuzione 154, ossia dagli atti successivi che presuppongono l’intervenuta modificazione di disciplina dell’ente trasformato. Si pensi, per esempio, al danno che può derivare ai creditori sociali, in termini di menomazione dell’integrità patrimoniale, dalla distribuzione di utili consentita dalla disciplina dell’ente trasformato e invece preclusa da quella dell’ente trasformando. Nel momento in cui la trasformazione diviene efficace tale danno è meramente potenziale; esso si realizza solo quando si proceda concretamente alla distribuzione degli utili, tramite per esempio una delibera assembleare successiva alla decisione dell’operazione straordinaria. Solo allora diviene esperibile l’azione risarcitoria, che presuppone la “realtà del danno” 155. Quest’azione pare riconducibile alla previsione di cui all’art. 2500-bis, 2° comma, c.c., oltre che per quanto già rilevato in ordine al suo tenore letterale, anche perché ha la trasformazione e il pregiudizio in esame sussiste il nesso causale in base alla regola della causalità adeguata 156. Infine, sempre in ordine all’individuazione del danno risarcibile, si può rilevare che i vizi formali o sostanziali, cause dell’invalidità della trasformazione, assumono rilevanza ai fini della responsabilità in esame, in quanto si risolvano in una lesione della partecipazione sociale (almeno in caso di trasformazione omogenea ed eterogenea di società di capitali) «sotto il triplice profilo della sua “conservazione”, “redditività” e “valorizzazione”» 157, ovvero degli interessi economici (come tali suscettibili di essere risarciti per equivalente monetario) connessi alla partecipazione.
Per quantificare il pregiudizio risarcibile cagionato dalla trasformazione invalida occorre determinarne le due componenti del danno emergente (inteso come perdita di valori già acquisiti al patrimonio del danneggiato) e del lucro cessante (ossia il guadagno netto mancato al danneggiato) 158-159. A tal fine occorre privilegiare un criterio di tipo soggettivo, vale a dire considerare l’interesse individuale sotteso all’investimento ed accertare l’incidenza lesiva concreta sulla posizione del danneggiato, come pacificamente ammette la dottrina civilistica in relazione ai beni produttivi qual è la partecipazione sociale 160. Si è, tuttavia, rilevato che «il necessario riferimento di tali entità economiche ad una posizione contrattuale inerente ad un rapporto in corso di attuazione … rende particolarmente ardua» 161 la quantificazione del danno arrecato ad esse. Risulta, pertanto, utile la possibilità offerta dal nostro ordinamento di ricorrere alla determinazione equitativa del pregiudizio ex art. 1226 c.c. (richiamato dall’art. 2056 c.c., per la responsabilità aquilina) quando sussista l’impossibilità o una motivata grande difficoltà nel quantificarlo, purché però esso sia certo nella sua esistenza 162. Gli interessi lesi dalla trasformazione invalida – in particolare quelli alla redditività e alla valorizzazione della partecipazione (v. sopra) –, infatti, si risolvono in mere aspettative patrimoniali da determinarsi su basi probabilistiche, la cui valutazione non può che avvenire, dunque, in via equitativa 163. Le precedenti osservazioni – relative all’impiego del criterio soggettivo e della valutazione equitativa del danno – appaiono utili a fornire anche una soluzione al problema del risarcimento dell’interesse del socio che non possa essere qualificato come mero investitore – come tale interessato esclusivamente al rendimento finanziario del proprio investimento (nel quale si risolve la sua partecipazione alla società) –, ma che vanti un interesse di tipo imprenditoriale, inteso come interesse a svolgere in comune e a gestire l’attività rientrante nell’oggetto sociale 164. Stimare il danno con riferimento all’interesse soggettivo tipico del danneggiato consente, infatti, di [continua ..]
Un problema particolarmente arduo posto dalla sostituzione della tutela reale con quella risarcitoria riguarda i vizi meramente procedimentali della trasformazione: si tratta di vizi formali (ossia consistenti in violazioni di regole organizzative o procedimentali) che non cagionano alcun danno al patrimonio del socio o della società (danno diretto o riflesso), ossia agli “interessi finali” che si appuntano sulla “conservazione”, “redditività” e “valorizzazione” della partecipazione 172. La dottrina prevalente non ritiene azionabile il rimedio risarcitorio in tali casi, stante la mancanza di un danno economicamente valutabile 173. A fondamento di tale conclusione viene richiamata l’elaborazione giuspubblicistica in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, in quanto così viene qualificata anche la situazione giuridica del socio a fronte di una delibera illegittima 174. Le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi non come “categoria generale”, ma soltanto quando «l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione al bene della vita al quale l’interesse legittimo … si collega, e che risulta meritevole di tutela secondo l’ordinamento» 175. Trasponendo tale principio all’indagine sulla responsabilità da delibera illegittima, la lesione degli interessi di natura partecipativa del socio – in cui si risolve il vizio procedimentale – diviene risarcibile solo se comporta un danno agli interessi di natura economica che si appuntano sulla partecipazione sociale (il bene della vita cui fa riferimento la Cassazione) 176. Tale conclusione, tuttavia, sembra determinare nell’ordinamento la seguente contraddizione. Le regole procedimentali hanno una loro rilevanza giuridica, che si esprime nella sanzione dell’invalidità degli atti societari che le violino 177. Ma in caso di trasformazione (come di fusione, di scissione, e, nei limiti di applicazione dell’art. 2377, 4° comma, c.c. di delibere assembleari) la loro violazione – accogliendo la tesi appena esposta – perde qualsiasi rilievo giuridico, rimanendo priva di sanzione sia nella forma dell’invalidità (che è [continua ..]
Il carattere sostitutivo dell’azione ex art. 2500-bis c.c. rispetto all’impugnazione della delibera di trasformazione invalida, consente di determinare anche contro chi debba essere esperito il rimedio risarcitorio. Un’indicazione al riguardo deriva, intanto, dalla disciplina delle società di capitali. Legittimata passiva rispetto all’impugnazione della deliberazione assembleare invalida è la società, come si ricava dall’art. 2378 c.c., che fa riferimento ad essa come “convenuta” 179. Pertanto, stante il carattere sostitutivo dell’azione risarcitoria in esame rispetto all’impugnazione di quella che non è altro che una delibera dell’assemblea straordinaria, il primo rimedio può essere esperita verso la società, legittimata passiva, in mancanza della preclusione imposta dalla legge, all’azione di invalidità. Ciò sembra confermato, fra l’altro, anche dal fatto che l’art. 2378 c.c. – in relazione al danno da delibera assembleare, qual è anche la trasformazione – individua espressamente nella società la legittimata passiva anche nell’ipotesi, considerata al 2° comma, in cui il giudice debba pronunciarsi unicamente sul risarcimento del danno 180. La legittimazione passiva dell’ente risultante dalla trasformazione ex art. 2500-bis c.c. è ricavabile, poi, da quanto rilevato in un recente lavoro in materia di danno da fusione. L’idea lì proposta trae spunto dal fatto che la giurisprudenza teorica e pratica non ha esitato a riconoscere un diritto risarcitorio diretto nei confronti della società al socio il quale, nonostante la rimozione di una delibera invalida, sia comunque rimasto danneggiato 181. Ciò premesso, si conclude per la necessità di ammettere, a fortiori, l’obbligo della società di rispondere anche dei danni cagionati da una delibera invalida che non è possibile rimuovere in assoluto 182. Da un punto di vista più generale, infine, si può osservare che tramite l’impugnazione i soci (ed i creditori mediante opposizione) possono intervenire nel processo di formazione della volontà sociale. Per contro, allorché opera la preclusione ex art. 2500-bis, 1° comma, c.c., [continua ..]
L’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. necessita di essere ricostruito in via interpretativa anche in merito all’individuazione dei legittimati attivi all’esercizio dell’azione risarcitoria lì prevista, poiché si riferisce genericamente ai «partecipanti all’ente trasformato ed ai terzi…». La questione più difficile al riguardo è stabilire se possono chiedere il risarcimento anche coloro che abbiano votato a favore della trasformazione 190. Al riguardo sembra corretto distinguere fra trasformazione nulla e annullabile. Nel primo caso, la legittimazione ad agire per il risarcimento deve essere riconosciuta anche ai partecipanti all’ente trasformato che abbiano votato a favore dell’operazione, in applicazione del principio generale in materia di nullità, tanto in ambito negoziale (art. 1421 c.c.) quanto nel diritto societario (art. 2379, 1° comma, c.c.), per cui essa può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse. Se il voto favorevole non preclude la successiva impugnazione per nullità, esso non può limitare nemmeno la legittimazione all’azione risarcitoria che la sostituisce ex lege 191. Più complesso è il discorso relativo all’annullabilità, al ricorrere della quale è certo che il voto favorevole preclude l’impugnazione 192. È plausibile ravvisare nel voto favorevole alla trasformazione un comportamento contraddittorio rispetto alla successiva richiesta di risarcimento 193. Non è certo, però, che tale orientamento venga accolto in giurisprudenza se si valorizza l’argomento per cui il socio, esercitando il voto e l’azione risarcitoria, agisce con «due ruoli … e volontà distinte», poiché riveste contemporaneamente una duplice posizione nella società: quella di socio (al quale si ricollega l’esercizio del voto in assemblea) e quella di contraente (al quale si collega la richiesta risarcitoria) 194. Il socio esprimerebbe così “due diverse valutazioni” fra le quali non può ravvisarsi un rapporto di contraddizione 195. Ad escludere la possibilità per il soggetto che ha votato a favore della trasformazione di richiedere il risarcimento del danno ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. pare sufficiente, tuttavia, il principio di [continua ..]
Cosa accade laddove il danneggiato dalla trasformazione invalida sia riuscito a proporre il rimedio reale prima dell’adempimento pubblicitario ex art. 2500, 2° comma, c.c., ma nonostante la pendenza del giudizio maturi la preclusione prevista dall’art. 2500-bis, 1° comma, c.c.? Si tratta in particolare di inquadrare il rapporto impugnazione-domanda risarcitoria sul piano del diritto processuale, al fine di stabilire se la seconda possa essere proposta nella causa originariamente introdotta con la domanda di invalidità. La soluzione preferibile è quella di considerare la domanda risarcitoria come emendatio libelli rispetto all’impugnazione, piuttosto che come mutatio libelli. La Cassazione, infatti, afferma costantemente che si ha una mutatio libelli solo quando si avanza una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo pendente un petitum diverso e più ampio, di quello oggetto dell’azione iniziale oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche mai prospettate prima (in particolare una fatto costitutivo del diritto radicalmente differente da quello indicato in origine) 205. Per quanto già rilevato, tali presupposti non ricorrono nel caso dell’azione ex art. 2500 bis, 2° comma, c.c. perché almeno tre degli elementi processuali che la identificano – parti, petitum mediato (l’interesse individuale tutelato contro la trasformazione invalida) e causa petendi (da individuarsi nell’invalidità della trasformazione) – coincidono con quelli dell’impugnazione 206. Il che è sufficiente a configurare il rapporto fra esse come emendatio libelli 207. Ne consegue che, la domanda risarcitoria può essere introdotta anche durante la prima udienza di trattazione, ai sensi dell’art. 183, 5° comma, c.c. («precisare o modificare le domande…già formulate») 208. Rilevante rispetto al problema in esame è anche la riserva di richiedere il risarcimento dei danni ex art. 2500-bis, 2° comma, formulata dall’attore al momento della proposizione dell’azione di invalidità. In caso di impugnazione della fusione, la giurisprudenza di merito ha riconosciuto alla domanda condizionale “riservata” di [continua ..]