<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Verso una riforma della disciplina sui controlli interni (di Niccolò Abriani)


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SOMMARIO:

- - - - - - - - - - - NOTE


1. Nonostante il titolo assegnatole dagli organizzatori di questo importante simposio, che intendo qui sentitamente ringraziare per l’invito, la relazione che mi accingo a presentare è dedicata, prima ancora che alle prospettive di riforma del sistema dei controlli, ad una “riforma della prospettiva”. Mi pare che, a due lustri dalla riforma societaria e ad oltre tre dal Testo Unico della Finanza, siano infatti ormai maturi i tempi per un mutamento dell’angolo prospettico dal quale viene tradizionalmente esaminato, valutato e presentato – anche agli operatori stranieri – il modello tradizionale italiano, a partire dalla sua asserita peculiarità, ovvero dall’organo che è stato il grande assente delle relazioni di questa mattinata: il collegio sindacale. In questo tentativo di ribaltamento del modo con cui la dottrina si accosta al più tipico e diffuso tra gli assetti di governance delle nostre società, quotate e non, farei tesoro di tre indicazioni metodologiche emerse nelle belle relazioni che si sono sin qui succedute e che ritengo particolarmente feconde. Innanzitutto, l’esigenza di un approccio rigorosamente funzionale, che privilegi il dato delle funzioni che ciascun organo è effettivamente chiamato a svolgere nei vari sistemi di governance, piuttosto che quello nominalistico, fondato su una pretesa essenza di ciascun istituto considerato in vitro. Un approccio del tutto condivisibile, chiaramente sotteso alla relazione di Gabriele Galateri e alla limpida ricognizione dei diversi attori che si contendono il campo sul proscenio e sullo sfondo del governo societario: in una mise en scène vivificata dalla maieutica di una non comune esperienza professionale, ma nella quale, sul piano concettuale, si percepisce nitidamente la eco degli insegnamenti di Paolo Ferro-Luzzi; ed il cui spirito è stato perfettamente colto da Marcello Bianchi allorquando ha parlato di “tassonomia schumpeteriana”. Rispetto a quella felice rappresentazione, operata con riguardo al tema della prima parte del nostro simposio e perciò evidentemente circoscritta alla sfera dell’amministrazione, si può soltanto soggiungere che, ove si estenda il panorama ai controlli interni, il numero dei coprotagonisti aumenterebbe significativamente e dai sei personaggi pirandelliani si rischierebbe di passare alla “sporca [continua ..]


2. Ed è nel solco di quest’ultima indicazione che si intende avviare la riflessione, collocando il sistema dei controlli all’interno del contesto normativo europeo. Da tale angolo visuale l’attenzione viene inevitabilmente ad appuntarsi su una disposizione che è stata sino ad oggi sottovalutata dagli esperti di governance; e ciò probabilmente perché si colloca in un ambito – quello della revisione legale dei conti – propriamente imputato al tema dei controlli esterni. Il riferimento è all’art. 41 della direttiva 2006/43/CE sulla revisione legale dei conti, che impone a tutte le società quotate e, più in generale, a tutti gli «enti di interesse pubblico» degli Stati membri di istituire un «comitato per il controllo interno e la revisione contabile», incaricato di vigilare sul processo di informativa finanziaria, sull’efficacia dei sistemi di controllo interno, di revisione interna, se applicabile, e di gestione del rischio, nonché sulla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati, verificando e monitorando «l’indipendenza del revisore legale o dell’impresa di revisione contabile, in particolare per quanto concerne la prestazione di servizi aggiuntivi all’ente sottoposto alla revisione contabile». Tale disposizione, pur lasciando liberi gli Stati membri di «stabilire se il comitato debba essere composto dai membri non esecutivi dell’organo di amministrazione e/o dai membri dell’organo di controllo dell’ente stesso sottoposto a revisione e/o da membri designati dall’assemblea generale degli azionisti», ha peraltro rivestito un grande rilievo nello stimolare gli Stati membri a recepire anche a livello legislativo un istituto, quale il comitato per il controllo interno, originariamente previsto dalla sola disciplina autoregolamentare; in tal modo contribuendo a definire un denominatore comune all’interno dei diversi sistemi di controllo contemplati dai vari ordinamenti e a tradurre in norma di fonte primaria alcune delle indicazioni contenute nella Raccomandazione n. 162 della Commissione europea in tema di amministratori indipendenti del 15 febbraio 2005 (che già sollecitava l’istituzione di un Comitato per la revisione dei conti). Al di là di quest’ultimo aspetto – reso esplicito dal Considerando 24 della direttiva, [continua ..]


3. Non si intende ovviamente indulgere in autocompiacimenti panglossiani, anche se mi fa piacere proprio in questa sede ricordare come su un altro tema cruciale dellagovernance societaria, quello delle operazioni con parti correlate, nel convegno internazionale di giovedì scorso a Milano sia emerso chiaramente che la regolamentazione forgiata in Italia dalla Consob rappresenta un modello di riferimento al quale alcuni tra i più autorevoli studiosi europei guardano in chiave di possibile armonizzazione, anche al fine di prevenire derive massimaliste che si prefigurano nel processo di recente avviato dalla Commissione volto alla modifica della direttiva sulla tutela dei diritti degli azionisti. Tornando dunque al nostro tema scevri da autocompiacimenti nazionalistici, una prima considerazione che si intende sottoporre all’attenzione di studiosi ed operatori è che il collegio sindacale ben può essere configurato e presentato al­l’estero non come un’esotica o eccentrica peculiarità italiana (difficile da tradurre, prima ancora che da spiegare), bensì come il “nostro” Independent Audit Committee di cui all’art. 41 della direttiva revisione; o, se si vuole, l’organo chiamato a svolgere le funzioni assegnate da quella disposizione al Comitato, in una cornice di autonomia, oggettività e pienezza di poteri che risulta di tutto riguardo, se non di assoluta avanguardia, su scala europea. Certo, ciò è il riflesso della peculiare posizione dell’istituto, che configura un organo autonomo, chiamato a monitorare sul controllo interno, ma non strutturalmente interno all’organo gestorio: dunque, “vigilanza in purezza”, se è consentita una metafora in questo caso enologica. E tuttavia, pur essendo un Independent non Director Audit Committee, il collegio sindacale partecipa (ab externo, ma) già ex ante al processo di formazione degli assetti organizzativi, e segnatamente del sistema di controllo interno e gestione dei rischi, monitorandone la corrispondenza ai principi di corretta amministrazione con un apprezzabile grado non soltanto di objectivity, ma altresì di proximity. E mi piace qui richiamare le considerazioni svolte da Mario Stella Richter nel suo recente importante contributo pubblicato sulla Rivista delle società in cui si precisano, con il [continua ..]


4. Questi ultimi interrogativi sospingono peraltro verso le prospettive di riforma. Vorrei invece rimanere ancora un istante sul piano della “riforma della prospettiva”, per contribuire a superare gli idola theatri collegati alla supposta dicotomia tra sindaci ed amministratori indipendenti. Riguardato nella sua più recente evoluzione, il sistema dei controlli interni si è sviluppato invero lungo due percorsi evolutivi che hanno continuato a defluire paralleli negli ultimi tre lustri e ciascuno dei quali ha avuto una sua illuminata cabina di regia. Il primo percorso, riferibile a Consob e Borsa Italiana, ha visto la progressiva valorizzazione della funzione degli amministratori indipendenti ed ha trovato la sua consacrazione nel Codice di autodisciplina e nel Decreto sulla tutela del risparmio, per culminare nel Regolamento Consob sulle operazioni con parti correlate. Il secondo percorso, caratterizzato da un cospicuo rafforzamento dei poteri e correlate responsabilità del collegio sindacale, è invece riferibile alla Banca d’Italia. Anzi, se con un certo grado di (consapevole) approssimazione si intendesse personalizzarlo, attribuendogli un nome, verrebbe naturale evocare quello di Mario Draghi: è infatti il Testo unico della finanza elaborato dalla Commissione da lui presieduta (e da molti ancor oggi definito “Legge Draghi”) ad aver per primo rivitalizzato il ruolo del collegio sindacale, introducendo negli artt. 148 e seguenti principi poi codificati in termini generali dalla riforma societaria del 2003; mentre le Disposizioni di vigilanza sul governo societario delle banche, emanate dalla Banca d’Italia sotto il suo governatorato (tra il marzo del 2008 e il febbraio del 2009), hanno anticipato alcune delle principali novità che sarebbero state estese a tutti gli enti di interesse pubblico, sulla spinta della disciplina comunitaria, dal decreto n. 39 del 2010 in tema di revisione legale dei conti, sino alla già ricordata e decisiva assegnazione al collegio sindacale del ruolo di Comitato per il controllo interno e la revisione contabile. Sotto entrambi i versanti si è tuttavia registrato un duplice e parimenti cospicuo arricchimento normativo che ha determinato una significativa convergenza funzionale dei due alvei regolamentari sul terreno decisivo ed unificante del regime dei controlli interni, contribuendo a rinsaldare i [continua ..]


5. Si tratta dunque di superare contrapposizioni dicotomiche tra modelli, che stamani sono state giustamente definite come ormai “stucchevoli” (Galateri), per valorizzarne la dimensione di virtuosa e sinergica convergenza. In questo quadro si iscrivono gli spunti offerti, nella dottrina italiana, da chi ha di recente proposto di istituzionalizzare anche a livello normativo la presenza del comitato controllo rischi in tutte le società quotate, in aggiunta e non in sostituzione del collegio sindacale (Calandra Buonaura). In effetti, lo scenario che si presenta a chi esamini la governance del sistema tradizionale italiano si connota per una peculiare articolazione dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, unitariamente intesi, al centro della quale si iscrivono i (sempre meno numerosi) amministratori non esecutivi ma non indipendenti, in quanto legati alla proprietà (c.d. dominicales) o al management, i quali si trovano appunto in una posizione intermedia tra il management stesso (sia esso rappresentato o meno all’interno del board con una componente propriamente esecutiva) e la “componente indipendente”, che in Italia si suddivide a sua volta in due parti: i consiglieri di amministrazione non esecutivi indipendenti, tra i quali si formano i comitati interni (primo tra tutti il Comitato controllo e rischi), chiamati ad un monitoring valutativo, anche nel merito, e i componenti del Comitato per il controllo interno e la revisione contabile, alias collegio sindacale, tenuti a vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, con un compito che è bensì di “vigilanza in purezza” nella sua natura, ma destinato anch’esso ad operare comunque ex ante in un contesto di partecipazione attenta, attiva e proattiva alle sedute del­l’organo amministrativo e dei suoi comitati. Ferma restando l’estraneità dell’or­gano di controllo al profilo propriamente valutativo della scelta gestoria (in ciò la sostanziale differenza con l’istituto degli amministratori indipendenti e la comprensibile difficoltà degli operatori degli ordinamenti anglosassoni a misurarsi con le peculiarità del nostro istituto), il dovere dei sindaci di vigilare sulla rispondenza degli atti amministrativi ai principi di corretta amministrazione – e [continua ..]


6. Non si intende, lo si ribadisce, indulgere in compiacimenti sciovinisti, posto che siamo tutti consapevoli che il nostro non è panglossianamente il migliore dei mondi possibili. Anzi, si potrebbe rilevare come l’innalzamento dei presidi che connota il sistema tradizionale italiano – tanto più se letto unitamente alla incisiva regolamentazione delle operazioni con parti correlate delineata dal Regolamento di attuazione dell’art. 2391-bis c.c. – costituisca un necessario contrappeso ai tradizionali vizi e limiti del mercato e degli emittenti del Belpaese, che lo rende naturalmente più incline all’estrazione di benefici privati del controllo, avvicinandolo per molti versi alla “Tunnelland” evocata con la consueta incisività dall’amico Luca Enriques giovedì scorso a Milano. Al contempo si è ben consapevoli che anche sul piano strettamente normativo permangono diversi punti critici e possibili interventi correttivi, molti dei quali già evocati nel corso di queste relazioni. Vorrei qui soffermarmi soltanto, e brevemente, su alcuni aspetti più direttamente connessi a quanto detto poc’anzi. Innanzi tutto, va sottolineato come non vi sia tuttora piena consapevolezza del nuovo ruolo del collegio sindacale, ora peraltro ben scolpito dalle Disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia e dalla nuova versione del Codice di autodisciplina (si veda infatti il già ricordato art. 8 della versione del dicembre 2011). E neppure dei corollari che le nuove funzioni dovrebbero determinare sulla stessa composizione dell’organo. Qui gli idola theatri si accompagnano a singolari vischiosità statutarie, che vedono tuttora anacronistiche riproposizioni della regola che richiedeva la qualifica di revisore legale in capo a tutti i sindaci: una limitazione che è forse meritevole di ripensamento per gli stessi collegi sindacali delle società chiuse ai quali sia affidata la funzione di revisione legale dei conti, ma che si rivela assolutamente irragionevole ove tale compito non sia loro affidato o addirittura precluso ex lege, come nelle società aperte e, più in generale, negli enti di interesse pubblico. Quest’ultimo profilo finisce del resto per tarpare le ali ad un’adeguata diversificazione nella composizione del collegio sindacale, che naturalmente va ben oltre il tema della [continua ..]


7. Un secondo processo incompiuto concerne la funzione cruciale di coordinamento degli organi di controllo delle società del gruppo, che viene ormai da tempo riconosciuta al collegio sindacale della holding: un tema sul quale ancora una volta la Consob è stata antesignana, sollecitando da tempo i sindaci delle controllanti quotate ad una diretta presenza nei collegi delle controllate sulle quali l’emittente esercita attività di direzione e coordinamento e riducendo in tali ipotesi i coefficienti di calcolo ai fini del superamento dei limiti al cumulo di cariche. Il riferimento è, in primo luogo, alla nota Comunicazione Consob 20 febbraio 1997, n. 97001574, nella quale l’Autorità di vigilanza, “al fine di accrescere a favore del collegio sindacale la trasparenza sull’attività svolta dalla società, anche attraverso imprese controllate”, raccomanda che “almeno un componente del collegio sindacale della capogruppo sia nominato sindaco nei collegi sindacali delle società controllate”, soggiungendo che “la partecipazione diretta rappresenta, infatti, lo strumento attraverso il quale agevolare l’acquisizione, da parte del collegio sindacale della capogruppo, delle informazioni necessarie ad adempiere le funzioni di propria competenza”. In tal senso si iscrive anche la regolamentazione del cumulo degli incarichi dei sindaci, contenuta di cui agli artt. 144-duodecies e ss. del Regolamento Emittenti, ove è espressamente previsto un coefficiente di riduzione del “peso” dell’incarico di sindaco in società controllate, nel caso in cui un componente del­l’organo di controllo ricopra analogo incarico nella società capogruppo, nel presupposto che ciò favorisca l’acquisizione di informazioni e determini una riduzione del tempo e del lavoro necessario per svolgere gli incarichi. Al riguardo mi chiedo peraltro se corrisponda ad una best practice la prassi ricorrente che lascia in mano al management della capogruppo (talora in capo allo stesso CEO, ma più sovente demandata al CFO o al General Counsel) la scelta, a monte, in ordine alla effettiva applicazione del principio in esame e la selezione, a valle, dei candidati ritenuti più idonei a comporre gli organi di controllo delle società soggette a direzione e coordinamento. Con il [continua ..]


8. Ai fini dell’adozione del sistema monistico nelle realtà di gruppo, occorrerebbe peraltro riconsiderare il limite che tanto il codice civile (art. 2399) quanto il Testo Unico della Finanza (art. 148, 3° comma) sembrano porre, in termini de iure condito difficilmente superabili, alla assunzione della carica di sindaco della controllante da parte di chi rivesta la carica di amministratore di società controllate, introducendo un’espressa deroga per quei consiglieri che, proprio nella loro veste di non executive independent directors, vengano a far parte del comitato per il controllo della gestione. E ciò dovrebbe valere naturalmente anche per l’ipotesi simmetrica, consentendo ai componenti dell’organo di controllo del sistema monistico della holding di assumere la veste di sindaco nelle controllate. Al riguardo merita qui di essere richiamata la previsione di cui all’art. 37, 1° comma, lett. d) del Regolamento Consob di attuazione concernente la disciplina dei mercati. Tale disposizione, come noto, ravvisa nella costituzione «di un comitato di controllo interno composto da amministratori indipendenti» il presupposto per l’am­­missione alla (e il mantenimento della) quotazione delle s.p.a. soggette all’atti­vità di direzione e coordinamento, soggiungendo che, in tale ipotesi, devono essere interamente composti da amministratori indipendenti, ove istituiti, «anche gli altri comitati raccomandati da codici di comportamento in materia di governo societario promossi da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria». La stessa disposizione ha cura di precisare la nozione di amministratore indipendente, ai fini delle previsioni in esame, richiedendo il «possesso dei requisiti di indipendenza previsti dall’articolo 148, comma 3, del Testo unico e degli eventuali ulteriori requisiti individuati nelle procedure previste dall’articolo 4 del regolamento adottato con delibera n. 17221 del 12 marzo 2010 in materia di operazioni con parti correlate o previsti da normative di settore eventualmente applicabili in ragione dell’attività svolta dalla società», nonché degli ulteriori requisiti di indipendenza previsti dal «codice di comportamento promosso da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni [continua ..]


9. Nell’auspicata prospettiva sin qui delineata si potrebbe valutare sin d’ora in termini permissivi la legittimità di clausole statutarie che prevedano l’irrevocabilità degli amministratori indipendenti componenti del comitato per il controllo sulla gestione del sistema monistico da parte del consiglio di amministrazione, rimettendo la relativa decisione dunque sempre all’assemblea. Per attenuare forme di concorrenza diseguale tra modelli, si potrebbe arrivare finanche ad estendere statutariamente la regola della irrevocabilità senza giusta causa dei componenti degli organi di controllo del sistema monistico, purché rappresentino una minoranza dell’organo consiliare. Mi chiedo anzi se analoga previsione non possa riferirsi anche ai consiglieri di sorveglianza componenti del comitato controllo rischi, sempre a condizione che rappresentino una componente minoritaria del consiglio di sorveglianza. Ovviamente, in entrambi i casi non vi sarebbe il filtro giudiziale contemplato dall’art. 2400 c.c. per la sola revoca dei sindaci, che non potrebbe ovviamente essere oggetto di previsione statutaria (e che comunque non parrebbe da estendersi neppure in una prospettiva de iure condendo). Sempre in sede statutaria, con riferimento al sistema monistico, si potrebbe operare un espresso riconoscimento dei poteri di controllo ed ispezione, che la legge assegna al comitato collegialmente, a ciascuno dei componenti dello stesso. Ancora per il modello monistico si potrebbe chiarire in termini espressi che nel consiglio di amministrazione devono essere previsti amministratori non esecutivi in numero superiore a quelli che andranno a comporre il comitato, posto che solo così pare possibile riprodurre quel triplice livello di cura, valutazione e vigilanza aventi per oggetto gli assetti che si realizza nel sistema tradizionale. Il che diviene importante anche per evitare la classica critica rivolta ad un modello nel quale, si afferma, i controllati nominano i controllanti e questi ultimi finiscono per controllare se stessi, soprattutto in ordine alla decisioni che adotta il consiglio come plenum e che non possono essere delegate. Così come andrebbe definitivamente chiarito che il concetto di comitato è logicamente e ontologicamente incompatibile con la dimensione monocratica, introducendo anche nelle società chiuse – che ben potrebbero essere importanti [continua ..]


10. Tornando alle società quotate e ai temi di vertice, condivido pienamente la proposta di Paolo Montalenti di attribuire espressamente all’organo di controllo – e dunque al collegio sindacale, nel sistema tradizionale – la funzione di coordinamento di tutte le istanze di controllo interno alla società, sviluppando in tal modo quanto già contenuto in nuce nell’art. 8 della nuova versione del Codice autodisciplina; e, in questo quadro, di prevedere l’obbligo periodico – che si suggerisce trimestrale – di relazione al consiglio di amministrazione da parte dell’organo di controllo sul funzionamento del sistema di controllo e sulle risultanze dei controlli effettuati, anche ai fini di eventuali decisioni di intervento correttivo da parte dell’organo gestorio. Così come pare senz’altro conforme a best practice l’appro­va­zione di un regolamento che disciplini le procedure di coordinamento tra le istanze di controllo nella complessa architettura societaria; ma anche, aggiungo, la previsione di una sede formale di coordinamento tra i presidenti del collegio sindacale, del comitato controllo rischi e dell’organismo di vigilanza, eventualmente coordinata dal presidente del consiglio di amministrazione, ove non investito di funzioni esecutive. Sono istanze del tutto condivisibili, posto che la prassi ha dimostrato, ripetutamente, come sia frequente non tanto l’assenza di controlli quanto la difficoltà nel­l’in­terpretare i segnali di anomalia, la carenza di “incrocio” tra controlli analoghi, la tardività del collegamento tra istanze di controllo diverse. Il “confronto sinergico” – se opportunamente regolato – può condurre a maggiori convergenze operative, a verifiche rafforzate e a più tempestive segnalazioni di criticità, debolezze, carenze ed anomalie (e v. ancora Montalenti). Meno convincente è la proposta ulteriore di consentire agli statuti delle società quotate (e di interesse pubblico) di attribuire la funzione di comitato per il controllo interno e la revisione legale di cui alla direttiva revisione, anziché al collegio sindacale, al comitato controllo e rischi previsto dal Codice di autodisciplina o, se la società non è quotata, a un comitato di amministratori indipendenti. Al di [continua ..]


11. Un’ultima considerazione riguarda il sistema dei controlli nella società a responsabilità limitata. È un tema di grande rilevanza che richiederebbe una relazione a sé stante, anche perché coinvolge realtà talora di ragguardevoli dimensioni e fatturati comparabili ad alcune quotate (si pensi a società del calibro di Esso Italiana s.r.l., Coca Cola Italia s.r.l. e Ikea Italia Retail s.r.l.) e finanche holding di partecipazione al vertice di gruppi quotati, alcune delle quali frutto di recenti trasformazioni dall’originaria forma di accomandita per azioni (com’è avvenuto per Edizione s.r.l., una delle maggiori società di partecipazioni del nostro Paese). Mi limiterò qui ad osservare come proprio la constatazione dell’importanza eco­nomica di molte società a responsabilità limitata imporrebbe di superare una disciplina dei controlli basata sulla forma societaria per passare ad un approccio fondato sulla dimensione dell’impresa. In questo quadro, si tratterebbe innanzi tutto di espellere dal codice civile l’ana­cronistica previsione che impone la nomina dell’organo di controllo nelle società a responsabilità limitata al mero raggiungimento di una soglia di capitale sociale pari a quello minimo stabilito per la società per azioni. Si tratta di una regola inefficiente, che disincentiva la capitalizzazione di questa forma societaria, determinando una irragionevole, e finanche folkloristica, proliferazione di s.r.l. con capitale subito al di sotto del parametro di legge (tipicamente, 119 mila euro). La definitiva espunzione dal codice civile di quel requisito dovrebbe peraltro offrire al legislatore l’occasione per un ripensamento generale del sistema dei controlli in quella che è ormai la forma societaria di gran lunga più diffusa, nel nostro come nella maggior parte degli ordinamenti societari. Un’impostazione fondata sulla effettiva rilevanza dell’impresa societaria dovrebbe allora indurre a rimeditare alcune delle soluzioni solo apparentemente (e dichiaratamente) semplificatorie, ma in realtà semplicistiche, che hanno connotato le più recenti novelle della materia, e segnatamente dell’art. 2477 c.c. In questa prospettiva, si dovrebbero affrancare i presupposti dell’obbligatorietà dell’organo di controllo anche [continua ..]


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