<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Vuoto gestorio per dissidi non insanabili e nomina giudiziaria di un amministratore provvisorio. Spunti dall'esperienza francese (di Linda Miotto)


COUR DE CASSATION, CHAMBRE COMMERCIALE,Audience publique du 8 février 2017 ˗ N° de pourvoi: 15-19897 – ECLI:FR:CCASS:2017:CO00188 – Mme Mouillard (président), président – SCP Ghestin, SCP Marlange et de La Burgade, avocat(s) Décision attaquée: Cour d’appel de Metz, du 10 février 2015   Société – administrateur provisoire – mesure exceptionnelle – art. 809 code de procédure civile – l’art. 700 code de procédure civile   La désignation d’un administrateur provisoire d’une société est une mesure exceptionnelle qui suppose rapportée la preuve de circonstances rendant impossible le fonctionnement régulier de la société et menaçant celle-ci d’un péril imminent. [La nomina di un amministratore provvisorio di una società è una misura eccezionale che presuppone la prova delle circostanze che rendono impossibile il regolare funzionamento della società e la minaccia di un pericolo imminente.]     REPUBLIQUE FRANCAISE AU NOM DU PEUPLE FRANCAIS LA COUR DE CASSATION,CHAMBRE COMMERCIALE, a rendu l’arrêt suivant:   Sur le premier moyen: Attendu, selon l’arrêt attaqué (Metz, 10 février 2015), que MM. X..., Gilles Z..., Maxime Z..., Mme Aude Z... et la société 13’15 rue du Wad Bouton étaient associés de la SCI 13 rue du Four du Cloître (la SCI); que la gérance de la SCI était assurée par MM. X...et Gilles Z...; que Mme Aude Z... et M. Maxime Z... ont assigné la SCI et M. X... pour demander la désignation d’un administrateur provisoire; qu’estimant que Mme Sylvie A...divorcée Z... s’était immiscée dans la gestion de la SCI, cette dernière et M. X... l’ont appelée en intervention; Attendu que M. X... fait grief à l’arrêt de désigner la société C...-D...-B..., prise en la personne de M. B..., en qualité d’administrateur provisoire de la SCI et d’ordonner sous astreinte à M. X... la remise à l’administrateur judiciaire de diverses pièces alors, selon le moyen: 1°/ que la désignation d’un administrateur provisoire d’une société est une mesure exceptionnelle qui suppose rapportée la preuve de circonstances rendant impossible le fonctionnement régulier de la société et menaçant celle-ci d’un péril imminent; qu’en décidant néanmoins que l’absence de comptabilité et de reddition des comptes ne permettrait pas un fonctionnement normal de la société et l’exposerait [continua..]
SOMMARIO:

1. Il quadro problematico. - 2. Vuoto gestorio e mala gestio: autonomia dei problemi e dei rimedi. - 3. Le aporie del principio consensualistico e il giudice supplente. - 4. Il principio di conservazione e la necessità di una guida amministrativa: rilevanza interpretativa. - 5. La designazione giudiziaria e i poteri attribuibili in rapporto alla funzione conservativa. - 6. (segue). I vincoli discendenti dalla tutela cautelare atipica. - 7. Le condizioni di compatibilità con i tipi personalistici. - NOTE


1. Il quadro problematico.

Per ambedue le sentenze che si annotano la nomina giudiziaria di un amministratore provvisorio è legittima, benché eccezionale e subordinata alla duplice prova dell’impossibilità di un regolare funzionamento della società e della minaccia di un pericolo imminente per la medesima. In coerenza con tale assunto, la prima pronuncia ravvisa integrate le condizioni per l’emissione del provvedimento avendo riscontrato come nel caso di specie la contabilità non fosse stata regolarmente tenuta per più di un esercizio e gli utili non fossero stati distribuiti. Il secondo arresto riforma invece il provvedimento di nomina emesso in sede di appello, ma ribadisce che l’assenza di gestori può giustificare la designazione giudiziale quando paralizzi la società e la esponga a un pericolo di danno. Il vizio pertanto riscontrato è nell’omessa indagine preventiva alla nomina in ordine alla sussistenza di un’effettiva stasi dell’impresa, che per la Corte può essere scongiurata anche dall’esistenza di un amministratore di fatto. L’orientamento sembra possa essere – seppure solo in parte – acquisito anche nel nostro ordinamento, nel quale peraltro il riconoscimento di un potere di nomina idoneo a risolvere le situazioni prospettate richiede un percorso argomentativo articolato, dovendosi superare alcuni indici testuali e sistematici apparentemente di segno contrario. Tutti i tipi societari sono esposti al rischio di un dissidio fra soci che, pur interrompendo la normale vita dell’ente, è privo di considerazione normativa espressa e sulla cui disciplina dottrina e giurisprudenza non concordano. È il dissidio che non rileva ai fini degli artt. 2272 e 2484 c.c. perché non ha i caratteri di assolutezza e definitività che per opinione consolidata sono necessari per integrare le cause di scioglimento di società di persone e di capitali (impossibilità sopravvenuta di conseguire l’oggetto sociale, impossibilità di funzionamento dell’assemblea) [1]. Si reputa infatti che in dette norme il legislatore abbia inteso riferirsi alle sole ipotesi estreme, nelle quali la permanenza del vincolo sociale è inutile e improduttiva, versando la società in uno stato di paralisi che impedisce il formarsi delle decisioni indispensabili allo svolgimento [continua ..]


2. Vuoto gestorio e mala gestio: autonomia dei problemi e dei rimedi.

Come anticipato, sono due i dati normativi che con più frequenza, sebbene con pari e giusto insuccesso, sono stati invocati nello sforzo di legittimare la nomina di un amministratore giudiziario: l’art. 1105, 4° comma, e l’art. 2409 c.c. La prima disposizione, richiamata in particolare per risolvere il problema nelle società di persone, considera fattispecie apparentemente assimilabili a quelle in esame, in quanto come noto stabilisce che se non si adottano i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria che, provvedendo in camera di consiglio, può anche nominare un amministratore. L’applicazione analogica è peraltro già stata da tempo efficacemente e condivisibilmente contestata per l’assorbente ragione riassumibile nelle note differenze fra società e comunione, determinanti al fine di escludere l’eadem ratio [13]. Il tentativo di sostenere l’applicabilità dell’art. 2409 c.c. ha trovato maggiore spazio negli scritti e nelle aule giudiziarie, confluendo nel più ampio e noto dibattito sulla proiezione sistematica di tale norma. Anche per questo l’analisi sembra debba essere impostata in termini differenti a seconda anzitutto del tipo societario, nonché delle specificità che si possono registrare nei casi al vaglio. Per quanto concerne le società per azioni, occorre considerare che i presupposti per la denuncia al tribunale sussistono solo in una sub-categoria delle fattispecie qui selezionate, consentendo l’applicazione diretta della relativa norma nelle limitate ipotesi nelle quali il dissidio interno determinante la paralisi sia stato originato o comunque accompagnato da gravi irregolarità che abbiano quale presupposto la violazione dei canoni di corretta gestione [14] e quale esito almeno potenziale la produzione di un danno. Si tratta peraltro di una continenza tra fattispecie bensì possibile in linea teorica ma meramente eventuale e contingente, inidonea di per sé a far trarre argomenti utili ad affermare la generale utilizzabilità della disciplina del controllo giudiziario ai fini della più ampia casistica della quale si discute. Anche ammesso, infatti, che avendosi [continua ..]


3. Le aporie del principio consensualistico e il giudice supplente.

Un principio è qui fuori discussione: è inammissibile un provvedimento giudiziario di nomina finché la maggioranza provveda alla sostituzione dell’amministratore revocato. Ne abbiamo conferma dallo stesso art. 2409 c.c., secondo il quale l’intervento esterno è sospeso per l’avvicendamento di nuovi amministratori designati dall’as­sem­blea. Sennonché le antitesi sulle quali ci si interroga, proprio in quanto intercorrono fra coalizioni di eguale forza, meritano considerazioni distinte rispetto a quelle che riguardano maggioranza e minoranza. Non si pone in dubbio infatti che una scelta giudiziaria degli amministratori, la quale si sostituisca a quella assembleare, sia da reputare incompatibile con il sistema qualora finisca con l’accordare alla minoranza una tutela che sacrifichi la prerogativa di dirigere gli affari sociali riconosciuta alla maggioranza col potere di nomina. La salvaguardia della parte debole entrerebbe in contraddizione con il principio maggioritario sul quale si regge il funzionamento degli enti societari [24]. Qualora però ci siano due componenti capaci di neutralizzare reciprocamente il rispettivo potere di voto e di determinare l’im­pos­sibilità di sostituire o nominare l’organo gestionale, si fuoriesce dalla logica di tale contrapposizione e l’intervento dell’autorità giudiziaria assume connotati peculiari sotto più profili [25]. Nelle stasi descritte il principio maggioritario già di fatto non riesce a svolgere la funzione di soluzione endo-organizzativa dei contrasti tra i soci, prefigurandosi di conseguenza il problema della ammissibilità non di una deroga in senso stretto alle regole contrattualistiche, ma piuttosto di una loro integrazione. Ragionando in questa prospettiva, non sembra che dal sistema possa evincersi un’incompatibilità assoluta con interventi giudiziari correttivi delle aporie dei meccanismi di formazione della volontà sociale. Per quanto infatti il legislatore abbia preferito soluzioni dei conflitti interni “autogestite”, ossia raggiunte dai soci esprimendo una volontà comune nel rispetto delle apposite regole, al contempo ha però anche disciplinato meccanismi intesi a colmare le insufficienze delle regole consensualistiche. A tali previsioni deve pertanto rivolgersi l’attenzione. Il primo esempio di [continua ..]


4. Il principio di conservazione e la necessità di una guida amministrativa: rilevanza interpretativa.

È opinione consolidata in giurisprudenza che il dissidio tra i soci, benché non annoverato dall’art. 2272 c.c. tra le cause di scioglimento, possa risolversi nella più generale impossibilità di conseguire l’oggetto sociale contemplata dal n. 2 della medesima norma [35]. Parimenti pacifico è che tale situazione ricorra quando manchi chi amministri la società o, più in generale, quando per un qualsiasi ostacolo non sia dato assumere decisioni indispensabili per proseguire l’attività [36]. Quindi la paralisi da dissenso, sia che concerna le decisioni dei soci, sia che si traduca nella carenza di gestori o di gestione, si pone in correlazione causa-effetto con lo scioglimento. Sennonché, sarebbe fallace proseguire il ragionamento fino ad affermare che lo scioglimento della società sia la risposta data dall’ordina­mento al dissenso tra i soci, e che dunque non vada ricercata una diversa soluzione, specie se giudiziaria, alla paralisi operativa della società. Così ritenendo si entrerebbe in contraddizione con le linee interpretative che proprio in materia di scioglimento sono offerte dal legislatore e dalla giurisprudenza. Quest’ultima si è fatta fautrice convinta di una “vocazione conservatrice” che si può dire abbia in qualche modo precorso lo spirito che nel 2003 ha guidato nella riscrittura delle disposizioni su scioglimento e liquidazione delle società di capitali [37], e che si è espressa, in particolare, in una doppia lettura restrittiva delle cause di scioglimento: anzitutto, in ordine all’individuazione dei presupposti necessari a integrarle, come visto identificati nell’impossibilità assoluta e definitiva di conseguire l’oggetto sociale, nonché nell’insanabilità di un dissidio che deve impedire decisioni necessarie allo svolgimento dell’attività sociale [38]; restrittiva, inoltre, nel disegnare lo scioglimento quale extrema ratio. In accordo con tale interpretazione, fintanto che il normale funzionamento della società sia possibile, la comunione di intenti tra i soci non è necessaria, e il suo stesso venir meno è di per sé privo di rilievo. L’affectio societatis, mai espressamente considerata dal legislatore eppure impiegata con frequenza dalla giurisprudenza [39], si [continua ..]


5. La designazione giudiziaria e i poteri attribuibili in rapporto alla funzione conservativa.

Il vincolo di strumentalità con la conservazione del valore d’im­presa e dell’ente consente di precisare altresì l’estensione del provvedimento sotto il profilo contenutistico-sostanziale. La funzione di esso è evitare che nelle more del giudizio, all’esito del quale dovrebbero essere rimosse le cause dell’impasse, vengano meno i presupposti o comunque l’interesse alla prosecuzione dell’impresa, determinandosi l’ineluttabilità dello scioglimento dell’ente. Questa medesima funzione delimita allora non solo le fattispecie per le quali è possibile la nomina giudiziaria in esame, ma anche i poteri attribuibili alla figura così designata, l’enuclea­zione dei quali supporta a sua volta – come diremo – il giudizio di legittimità del relativo provvedimento. La comparazione con l’esperienza francese offre indicazioni utili a identificare tali prerogative. La giurisprudenza di tale ordinamento distingue preliminarmente fra designazione di un mandatario ad hoc e di un amministratore, assumendo quale elemento differenziale il quantum dei poteri conferiti [56]. Quando il giudice si limiti ad assegnare il compito di porre in essere determinati atti o categorie di atti si parla di mandataire ad hoc, e si afferma che gli eventuali organi sociali rimangono in carica [57]. L’espressione administrateur provisoire è invece utilizzata quando non vi sia una missione specifica, o quando nel provvedimento di nomina siano individuati nel dettaglio alcuni compiti lasciando però la facoltà di adottare ulteriori decisioni, e comunque tutti gli atti ritenuti necessari [58]. A fronte di tali formule, si ritiene conferito un mandato generale alla gestione [59]. È infatti affermazione frequente che l’administrateur provisoire riceva un’investitura giudiziale dei poteri propri di un amministratore sociale [60], con facoltà di compiere tutti gli atti che l’interesse della società richiede, anche considerato che la sua designazione comporta cessazione degli amministratori eventualmente in carica [61]. Detto insegnamento va peraltro coordinato con un altro impartito dalla medesima giurisprudenza, che definisce essenzialmente conservativa la natura della nomina de qua, ricavandone una coerente limitazione dei poteri [continua ..]


6. (segue). I vincoli discendenti dalla tutela cautelare atipica.

L’ammissi­bilità della misura di urgenza innominata di cui all’art. 700 c.p.c. trova fondamento nell’inesistenza di uno strumento cautelare tipico atto a rimuovere la situazione di pregiudizio imminente e irreparabile a cui è esposta la società in impasse e perciò idoneo a realizzare un interesse (alla conservazione del valore dell’impresa e del­l’ente che la esercita) che per quanto detto è invece sotto più profili giuridicamente apprezzabile e meritevole di salvaguardia [81]. Nondimeno l’applicabilità ai casi in esame richiede alcune puntualizzazioni a fronte dell’assunto contrario per il quale non sono adottabili in sede cautelare provvedimenti dei quali non sarebbe possibile la pronuncia all’esito di un giudizio cognitivo di merito [82]. È stato affermato in particolare che l’art. 700 c.p.c. non può essere invocato quale fondamento normativo per la nomina giudiziaria di un amministratore, non potendosi conseguire con ricorso d’urgenza effetti giuridici preclusi al giudizio di merito, rispetto al quale può emettersi un provvedimento meramente anticipatorio [83]. Sennonché sembra che tali obiezioni possano essere superate nelle fattispecie in esame considerando le caratteristiche della figura la cui designazione andrebbe chiesta nella fase cautelare, e più precisamente considerando l’estensione dei relativi poteri. Se si delimita la finalità dell’intervento alla mera conservazione dello status quo in attesa del previsto superamento dell’impasse, si ricava infatti come la relativa designazione integri un provvedimento di contenuto meno esteso rispetto all’unica nomina della quale sarebbe coerente fare istanza, ovverosia quella di un liquidatore, la quale è acquisito si possa emettere in sede di giurisdizione tanto volontaria quanto ordinaria. L’ipotesi è che si domandi quale cautela atipica la nomina di un amministratore provvisorio prospettando una stasi che si prefigura ragionevolmente superabile all’esito di un connesso giudizio di merito nel quale si abbia come domanda principale la definizione di una vertenza tra i soci destinata ad alterare la compagine sociale e come eventuale domanda in subordine la designazione di un liquidatore. Il rapporto di strumentalità richiesto per tali [continua ..]


7. Le condizioni di compatibilità con i tipi personalistici.

Le direttrici indicate consentono, sembra, di superare alcuni problemi interpretativi che si pongono specificamente per le società di persone, in connessione con la responsabilità illimitata dei relativi soci e con la conseguente tradizionale ritrosia ad ammettere per esse la figura del c.d. amministratore estraneo. Quanto al primo profilo, l’attribuzione del potere a un amministratore provvisorio non pare determinare un rischio per i patrimoni individuali incoerente con il sistema, dal momento che le prerogative decisionali di tale soggetto sono ristrette alla mera conservazione, attuata principalmente mediante l’adempimento di obbligazioni preesistenti. Tale attività non implica infatti l’assunzione di scelte gestionali in senso proprio, né espone la società e i suoi soci a ulteriori rischi, perché anzi salvaguarda dal pericolo al quale sarebbero esposti se perdurasse lo stallo. Le medesime considerazioni consentono di superare un problema ulteriore che si pone specificamente per le società in accomandita semplice a margine dell’art. 2323 c.c., ove all’ultimo comma stabilisce che, venuti a mancare tutti gli accomandatari, per il semestre concesso per la ricostituzione della duplice categoria di soci gli accomandanti nominino un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. La norma di per sé è catalogabile quale espressione del principio di conservazione, in quanto per scongiurare o anche solo procrastinare lo scioglimento ammette una deroga alla stessa regola sulla distribuzione del potere decisionale identificativa del tipo. La giurisprudenza ha peraltro circoscritto l’ambito di operatività del disposto, ritenendolo insuscettibile di essere applicato al caso in cui sia presente nella compagine sociale un socio accomandatario, seppur privato del potere di amministrare [108]. L’argomento addotto è che ove permanesse la responsabilità illimitata di tale soggetto per la gestione compiuta da un accomandante o da un estraneo nella veste di amministratore provvisorio [109], si avrebbe una lesione del principio di tipicità [110]. Ebbene, tanto la norma quanto l’interpretazione appena detta possono rilevare nei casi in esame. Si può invero immaginare una contrapposizione tra gli accomandanti che paralizzi la designazione dell’amministratore provvisorio, [continua ..]


NOTE